In difesa dei partiti

Visto che iniziano a circolare ipotesi su una fantomatica «iperdemocrazia senza i partiti», e si legge che Simone Weil in un pamphlet avrebbe concluso in maniera «nitida come al termine di una dimostrazione matematica» che «la soppressione dei partiti costituirebbe un bene allo stato quasi puro», vorrei ricordare per quale ragione i partiti esistono, e perché è bene continuino a esistere. Non questi partiti, certo, ma l’istituzione-partito.

Uno degli argomenti dei sostenitori dell’eliminazione dei partiti è che non servano più perché sostituibili grazie all’auto-organizzazione dei cittadini tramite Internet. Come ho già scritto, è l’idea di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, ma naturalmente non solo la loro (Carlo Formenti la racconta in un libro, Cybersoviet, già nel 2008). Affido la replica a uno scritto del 1984 di Norberto Bobbio, Il Futuro della Democrazia:

L’ipotesi che la futura computer-crazia, com’è stata chiamata, consenta l’esercizio della democrazia diretta, cioè dia a ogni cittadino la possibilità di trasmettere il proprio voto a un cervello elettronico, è puerile.

Perché? Bobbio lo spiega con straordinaria chiarezza:

A giudicare dalle leggi che vengono emanate ogni anno in Italia il buon cittadino dovrebbe essere chiamato a esprimere il proprio voto almeno una volta al giorno. L’eccesso di partecipazione, che produce il fenomeno che Dahrendorf ha chiamato, deprecandolo, del cittadino totale, può avere per effetto la sazietà della politica e l’aumento dell’apatia elettorale. Il prezzo che si deve pagare per l’impegno di pochi è spesso l’indifferenza di molti. Nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia. (p. 22)

Certo, nel 1984 Bobbio non poteva prevedere la diffusione capillare di Internet né soprattutto lo sviluppo del web 2.0. Ma né l’uno né l’altro fenomeno intaccato di una virgola, a mio parere, i problemi sollevati. Anzi, la frenesia dell’era dei social media rischierebbe di acuire il problema del ‘cittadino totale’ (in questo caso, il ‘netizen totale‘), trasformando la democrazia di fatto in una sorta di referendum istantaneo permanente sulla volontà popolare. Un incubo, se si considera quanta poca attenzione si presti a contenuti complessi, e quanto le nostre capacità attentive siano già duramente messe alla prova dall’enorme serie di stimoli con cui veniamo quotidianamente bombardati, spesso in simultanea.

Non a caso, sempre Bobbio sostiene poche pagine dopo che «il cittadino totale non è a ben guardare che l’altra faccia non meno minacciosa dello stato totale». Due facce della stessa medaglia, scrive ancora, perché il principio è lo stesso: «che tutto è politica, ovvero la riduzione di tutti gl’interessi umani agli interessi della polis, la politicizzazione integrale dell’uomo, la risoluzione dell’uomo nel cittadino, la completa eliminazione della sfera privata nella sfera pubblica, e via dicendo». Il cortocircuito tra pubblico e privato suona quasi profetico, pensando ai proclami di Mark Zuckerberg sulla fine dell’era della privacy, e al moltiplicarsi di richieste di trasparenza radicale.

Da dove l’utilità dei partiti? Beh, sono proprio loro i corpi intermedi tra cittadino e Stato che servono a mantenere da un lato la libertà del cittadino, e dall’altro a tutelare l’indipendenza dello Stato dalla dittatura dell’opinione. A questo serve il divieto di mandato imperativo, contenuto nella nostra Costituzione all’articolo 67: a fare sì che l’eletto possa comunque adoperare il suo giudizio nello scegliere come meglio servire l’interesse collettivo, se assecondando l’opinione della maggioranza o se ascoltando la voce della sua coscienza (una possibilità che, come afferma Thoreau ne ‘La Disobbedienza Civile’, è anche un antidoto al rispetto cieco della legge). Fermo nella consapevolezza che il bene collettivo, a volte, può doversi strutturare – e qui sorgono naturalmente i problemi legati alla scarsa capacità di giudizio o buonafede degli eletti di cui sappiamo – anche contro l’opinione prevalente.

Altri problemi legati all’eliminazione dei partiti sono connessi al fatto che la democrazia diretta si sia dimostrata inservibile, scrive Bobbio, una volta che lo stato è diventato nazione e le sue dimensioni hanno superato quelle dell’agorà – rendendola di fatto «anacronistica». Spunto da cui Hans Kelsen, in ‘La Democrazia’, trae un ulteriore argomento:

Data l’irrealizzabilità pratica della democrazia diretta nei grandi Stati economicamente e culturalmente evoluti, gli sforzi per stabilire il contatto più stretto possibile fra la volontà popolare e i necessari rappresentanti del popolo, la tendenza ad avvicinarsi al governo diretto portano non ad una eliminazione od anche a una riduzione del parlamentarismo, ma ad un’ipertrofia non sospettata del parlamentarismo stesso. La Costituzione sovietica (Kelsen scrive negli anni ’20 del 900, ndr), che si oppone scientemente e intenzionalmente alla democrazia rappresentativa della borghesia, lo mostra chiaramente. Parlamenti piramidiformi chiamati «sovieti» o «Consigli» che sono semplicemente assemblee rappresentative. Il parlamentarismo così si estende ma, contemporaneamente, si intensifica. (p. 84)

Non molto di diverso dal caos di forum, pagine di discussione e polemiche che accompagnano le strutture orizzontali odierne, che siano coordinate tramite meetup o Facebook. E che si risolvono molto spesso in litigi, paralisi decisionale e incapacità di proposte minoritarie.

L’ultimo, e credo il più grosso problema, è il rapporto tra democrazia e visibilità, tra esercizio della sovranità e presenza. Nell’era di WikiLeaks e dell’open government, la richiesta di annientare il segreto è forte, e più che giustificata in moltissimi casi. Ma si deve fare attenzione: perché la eliminazione dei corpi intermedi (tra cui i partiti) tra cittadino e Stato può significare non solo che i cittadini sanno tutto dello Stato, ma anche che lo Stato sa tutto dei cittadini. E’ il rapporto tra il sogno di Rousseau e quello di Bentham. Scrive Michel Foucault nella conversazione che precede l’edizione italiana del Panopticon benthamiano:

Direi che Bentham è complementare a Rousseau. Qual è, in effetti, il sogno roussoiano che ha animato parecchi rivoluzionari? Quello di una società trasparente, al tempo stesso visibile e leggibile in ciascuna delle sue parti; che non ci siano più zone oscure, zone regolate da privilegi del potere reale o dalle prerogative di questo o di quel corpo, o ancora dal disordine; che ciascuno, dal punto che occupa, possa vedere l’insieme della società; che cuori comunichino gli uni con gli altri, che gli sguardi non incontrino più ostacoli, che regni l’opinione, l’opinione di tutti su tutti. […] Bentham è questo, e al tempo stesso tutto il contrario. Egli pone il problema della visibilità organizzata interamente attorno ad uno sguardo che domina e sorveglia. Fa funzionare il progetto di una visibilità universale, che giocherebbe a profitto di un potere rigoroso e meticoloso.

Michelle Perrot, subito dopo, incalza il filosofo: «C’è questa frase nel Panopticon: ‘Ogni compagno diventa un sorvegliante’». E lui: «Rousseau avrebbe senza dubbio detto l’inverso: che ogni sorvegliante sia un compagno». Se non bastasse l’ambiguità, crescente – paradossalmente – al crescere della gestione diretta del potere da parte dei cittadini, Foucault invoca un altro e più temibile spettro: il rischio di una dittatura della trasparenza:

Questo regno dell’«opinione» che viene tanto spesso invocato, in quest’epoca, è un modo di funzionamento in cui il potere potrà essere esercitato per il solo fatto che le cose saranno conosciute e che le persone saranno viste attraverso una sorta di sguardo immediato, collettivo e anonimo. Un potere la cui risorsa principale sia l’opinione non potrebbe tollerare delle regioni d’ombra. Se ci si è interessati al progetto di Bentham, è perché egli forniva, applicabile a molti domini diversi, la formula di un «potere per trasparenze», di un «assoggettamento grazie alla messa in luce».

Tutto ciò non vuole affatto dire che non serva maggiore trasparenza nella attuale gestione della democrazia rappresentativa: sarebbe folle sostenerlo. Il punto è che la trasparenza deve essere messa al servizio dei cittadini, non dello Stato; dei controllori, non dei controllati. E perché ciò avvenga in modo non ambiguo non si può eliminare la differenza tra i due. Nel mezzo, in altre parole, ci devono essere i partiti: aperti all’ascolto delle istanze dei cittadini, gestiti in modo chiaro e immediatamente verificabile da ciascuno, e possibilmente in grado di realizzare i programmi con cui si presentano agli elettori. In grado di motivare gli scostamenti dalla volontà popolare, quando siano necessari. Ma soprattutto capaci di ribadire che la politica – per tutti i motivi sopra esposti – richiede rappresentanza.

L’alternativa, la distruzione dei partiti, conduce all’autoritarismo. E lo fa subdolamente, nel nome del popolo. Per questo ha ragione Giorgio Napolitano quando dice, pur sapendo di essere impopolare, che il web è sì un «importante canale di partecipazione», ma non può «condurre direttamente al luogo delle decisioni politiche». E per lo stesso motivo mi fa paura, al contrario, sentire una persona in grado di attirare consensi a doppia cifra dire con leggerezza:

«A cosa ti serve un politico che ti rappresenta. Io con un click, semplicissimo, […] io decido se fare la guerra o non fare la guerra, se uscire dalla Nato, se essere padroni in casa nostra, se avere una sovranità monetaria, una sovranità economica» (Beppe Grillo, 25 gennaio 2012).

Semplice, immediato, seducente. Ma non per questo meno sbagliato. Pur nel disastro attuale, e sapendo a mia volta di essere impopolare, se questa è l’alternativa non resta che esclamare: evviva i partiti.

61 pensieri su “In difesa dei partiti

    • Beh, direi che una delle ragioni dell’esistenza dei partiti è quella di consentirne l’agiografia attraverso alambicchi di pensiero e contorsioni varie.
      E’ evidente a tutti che i partiti hanno esaurito il loro tempo, come tutte le cose umane hanno un inizio ed una fine: e non solo o non soprattutto per le marchiane dimostrazioni di inadeguatezza civica ed etica di questi leaders autoreferenziali. La fine dipende soprattutto dall’esaurimento del loro scopo fondamentale, quello di rappresentanza, come più volte ricordato nel pallosissimo articolo. Anche i commentatori più embedded oramai faticano a nascondere come i programmi politici dei vari partiti tradizionali (destra, centro e sinistra), quando effettivamente comunicati, siano praticamente indistinguibili: lo dimostra il sostegno tripartito all’esecutivo Monti, il cui recentissimo tracollo, sia per l’aumento di spread e debito pubblico, sia per la spirale recessiva innescata da una manovra inutile quanto disastrosa, sia per il vertiginoso crollo dei consensi, non ha fino ad ora spinto nessuno dei capopartito a togliere la fiducia a questo governo e andare alle elezioni anticipate. Tutti uniti a sostegno l’uno dell’altro, impegnati nel varo di una legge elettorale che consentirebbe (rendendo facoltativo dichiarare in anticipo la coalizione di governo che si intenderebbe costituire) di creare il governo del grande inciucio.
      Quello che dico è suffragato dal dato record di astensionismo delle ultime amministrative, inserito però in un trend di costante calo da molti anni: dimostrazione lampante che i cittadini, al netto degli ultimi incredibili scandali, non si sentono più rappresentati da nessuno.
      E’ un fenomeno irreversibile, certificato anche dal risultato dell’ultima consultazione referendaria: destra, sinistra e centro tutti schierati, come un sol uomo, a favore di nucleare e privatizzazione dell’acqua, cittadini tutti dalla parte opposta. La domanda che vorrei porre è: al di là del fatto che nessun partito tradizionale ha rappresentato l’opinione largamente maggioritaria, che senso hanno partiti che non trovano mai una valida occasione per marcare le proprie differenze? Nessun senso, ovviamente, se non la dimostrazione che NON POSSONO PIU’ RAPPRESENTARE ALCUNO. Voglio dire che, al di la’ della loro inadeguatezza, emerge con forza l’inutilità del concetto di rappresentanza dei partiti: chiarisco meglio. Ammettiamo di ridurre la proposta partitica a soli tre schieramenti: i Gialli, i Verdi e i Blù, e ammettiamo pure di riuscire ad estirpare completamente il malaffare dal Parlamento, nessun condannato, nemmeno in primo grado, gli indagati che si dimettono automaticamente, conflitto di interessi azzerato, massimo due legislature, massima indipendenza dai poteri finanziari, il tutto controllato da un’informazione attenta e libera dopo l’abolizione dei contributi pubblici all’editoria e l’obbligo di riportare, alla fine di un articolo che coinvolge una azienda (per es.: FIAT) l’ammontare degli investimenti pubblicitari di quell’azienda a favore di quella testata. Insomma, ciascuno di noi può immaginare un sistema partitico e mediatico trasparente ed ideale. Come si schiererebbero questi partiti di fronte alle scelte di cui sopra (acqua pubblica e nucleare)? Ricordo che in tutto il mondo le esperienze di privatizzazione del sistema idrico hanno portato peggioramento della qualità dell’acqua ed aumento astronomico dei costi per metro cubo, e ricordo anche che è di questi giorni il record tedesco di produzione elettrica da fotovoltaico, per la prima volta superiore alla potenza nucleare installata. Ovviamente Gialli, Verdi e Blù si schiererebbero tutti a favore dell’acqua pubblica e contro il nucleare. Ma come si esprimerebbero in tema di rifiuti? A favore di inceneritori e discariche cancerogene, oppure a favore di un ciclo di Riuso, Riciclo e Riduzione dei rifiuti, come da oltre un ventennio richiesto dalla UE? E sul sistema di tassazione dei redditi da lavoro (piccola/media impresa tassata quasi al 70%) confrontato con quello sui redditi da rendita finanziaria (attualmente quasi sempre 12,5%)? Quale di questi tre partiti voterebbe per un sistema che penalizzasse ancor più il reddito da lavoro nei confronti di quelli da rendita finanziaria?
      Alla resa dei conti, sulle questioni fondamentali di welfare, energia, ecologia e territorio non esistono punti di vista ideologici, esistono solo dati di fatto incontrovertibili e strade già segnate da logica, sostenibilità ed equità.
      I partiti a cosa servirebbero? Nella sostanza a nulla. Cosa nascerà per sostituirli è presto per dirlo in un momento come questo di crisi di Sistema (rappresentativo dei partiti, sociale, economico e di filosofia finanziaria) ma il fatto che a difesa del sistema/partiti vengano citati pensieri di Bobbio e di Napolitano (il primo che nei primi anni dell’ascesa berlusconiana aveva già 90 anni, il secondo un fresco pensatore di 87 anni che, con grande lungimiranza, fu il maggior critico di Berlinguer dopo il suo discorso sulla questione morale nei partiti) da la giusta misura della direzione verso cui è teso questo barboso articolo: il passato.

  1. Vorrei avere il tempo di contro-argomentare come il tuo pezzo merita, ma mi limiterò qui a fare una breve, e spero utile, serie di considerazioni.

    Nessuno di coloro che propongono una democrazia diretta, possibilmente mediata da uno strumento quale internet, ha mai pensato che bastasse un veloce click senza pensarci due volte a governare una città, una regione, una nazione, o persino il mondo intero.

    Ogni strumento di e-democracy fin’ora inventato, ed ogni strumento di e-democracy anche solo progettato, include in sé il concetto di dibattito, più o meno lungo, più o meno strutturato, intorno ad un concetto, legge, emendamento, prima che una decisione sia presa.

    E’ quindi un po’ uno straw man l’idea per cui una e-democrazia aprirebbe le porte ad una dittatura dell’opinione istantanea e di pancia. Non è così, nessuno ha mai inteso che debba essere così. I problemi che esponi sono concreti, e tutti tenuti in debita considerazione.

    Anche il “fare un referendum al giorno” rientra una visione apocalittica della questione, a mio modestissimo avviso. Il sistema attuale spesso legifera in funzione di sé stesso. Basta dare una rapida scorsa a ciò su cui il parlamento ha legiferato lo scorso anno e ci si rende conto che il più delle volte si è trattato di interessi particolari, spesso in contrasto con quella che è la percepita opinione pubblica ed interesse collettivo. In parole semplici: non ci sarebbero tutte queste leggi da fare, se il governo fosse davvero in mano ai cittadini, e soprattutto se il potere fosse decentrato.

    Riguardo l’apatia, io vedo piuttosto una enorme voglia di gran parte della cittadinanza di partecipare attivamente alla vita politica, una voglia osteggiata in ogni possibile modo da chi oggi detiene quel potere di intermediario che però è in realtà diventato primo potere, a giudicare di quanto la vita della nazione sia pervasa dai partiti politici (ed uno dei primi a denunciarlo è stato Berlinguer, non Grillo). Consentire, quindi, alla cittadinanza di poter esprimere la propria informata opinione e farla pesare nel processo decisionale, vuoi locale, vuoi regionale, vuoi nazionale, è proprio un antitodo a quell’apatia che oggi pervade la stragrande maggioranza della cittadinanza.

    Lo spiega bene Dave Meslin, in una conferenza TED, qui: http://www.ted.com/talks/dave_meslin_the_antidote_to_apathy.html

    Un’ultima considerazione: la democrazia diretta esige, per funzionare, un quorum basso o nullo. Di fatto, di volta in volta, non voterà mai molto più del 30-40% della popolazione, perché ognuno vota a seconda delle sue capacità, conoscenze, competenze ed interessi (vedi la Svizzera).

    Di fatto, è come se ogni volta votassero partiti diversi, formatisi ogni volta intorno ad argomenti specifici. E’ più rappresentativo un 40% della nazione, o quei 1000 parlamentari che oggi siedono sugli scranni lì su in alto?

  2. Un’ultimissima nota: ritengo che una reale democrazia sia se non imprescindibile da, certamente aiutata tantissimo da una concreta partecipazione de visu, anche tramite strumenti quali Open Space Technology od altri strumenti partecipativi “fisici” che riescono a strutturare e gestire al meglio le più o meno divergenti opinioni delle persone.

  3. Ma alla fine non crediamo che migliaia di individui in rete costituiscano un “sol uomo”: anzi, le mille possibilità della Rete travolgono anche Grillo e qualsiasi strumento informatico non potrebbe servire a tenere sotto controllo l’opinione disaggregata di milioni di “utenti”.

    L’incontro dei (vecchi?) meet-up a Rimini del 3 e 4 Marzo scorsi (che causò la defenestrazione del Tavolazzi), aveva l’indubbio merito di porre sul tavolo la questione della ‘modalità operativa’ della “democrazia dal basso”. Nel documento-manifesto dell’incontro, veniva chiaramente sviscerato il tema della non completa sostituibilità della discussione viso a viso, delle assemblee fatte di persone in carne e ossa organizzate in ordini del giorno e relatori e pubblico che ascolta. Niente di diverso, si obietterà, da quanto succede in una normale Direzione Nazionale di Partito. E’ vero, è maledettamente vero, così come è sbagliato perseverare nella criminalizzazione della forma partito: non sono i partiti il male della politica nostrana, bensì i gruppi di interesse privati che li controllano. Proprio per evitare questo vizio capitale, il Movimento 5 Stelle dovrebbe garantire la partecipazione della base elettorale sia nella selezione dei candidati che dei programmi. La partecipazione diffusa non può fare a meno di una auctoritas altrettanto diffusa, una auctoritas non personificata ma – alla maniera di Habermas – ‘scolpita nelle regole’ – che è diverso da una fedeltà cieca al non-statuto, pateticamente propagandata dal Lidér Maximo (Grillo!) tramite il blog.
    La retorica dell’uno vale uno si scontra con il limite invalicabile dell’insindacabile giudizio di Grillo. Grillo ha la proprietà del marchio. Il M5S è un ‘prodotto ‘ di Grillo. Essere un prodotto si scontra con la libera discussione. Per ‘realizzare un prodotto’ serve gerarchia e certezza di comando, null’altro. Se il M5S vuole sottrarsi al destino di un prodotto (essere venduto?) deve rifondarsi dandosi finalmente la struttura organizzativa che garantisce la partecipazione diffusa: istituendo un anagrafe degli elettori, decidendo le proprie candidature e le proprie liste con primarie aperte, avviando sul web il progetto di una agorà virtuale in cui realizzare la discussione ragionata, la decisione e la deliberazione costante – non plebiscitaria – relativamente alle proposte politiche. Tutto ciò è ancora lungi dal venire e certamente il dibattito asfittico dei pro o dei contro Grillo non serve alla causa. E forse nemmeno Grillo.
    http://yespolitical.com/2012/03/27/movimento-5-stelle-che-fare/

  4. Oppure, sull’idea del cittadino totale, forse il M5S è il riflesso di dinamiche più generali. Avevo scritto qualche giorno fa che “la nascente Terza Repubblica ha i connotati di un rinascimento comunale, come storicamente è quasi sempre capitato dopo i lugubri medioevi che questo paese ha dovuto vivere. In questo senso Grillo è stato il medium (nel senso di mezzo) per l’emanciparsi di questa nuova generazione di cittadino. Il cittadino partecipativo spezza il monopolio del super professionismo politico della società tecnica specializzata. La Rete in tutto questo movimento di competenze, non più monopolizzate bensì liquide poiché condivise, è l’esemplificazione più evidente. Io stesso, mentre scrivo, esercito un ruolo che è a metà fra il cittadino e il giornalista, ma che non è pienamente giornalista, ma certamente cittadino. Da un lato esiste il Netizen, testimone del proprio tempo e al tempo stesso attore nel campo della pubblica dissertazione, dall’altra questa nuova forma di politico che altro non è se non un “cittadino in armi” come lo erano i comunardi parigini: assolutamente temporaneo, non indispensabile, infinitamente sostituibile. In questo risiede la rivoluzione del 5 Stelle: come con Lutero la religione non era più organizzata intorno alla mediazione del sacerdote cattolico (la Riforma luterana pone l’individuo in diretto contatto con il Verbo di Dio attraverso la lettura personale e personalistica delle Scritture), così oggi la Pòlis fa a meno della intermediazione del Professionista, del Tecnico, e sussume in sé l’individuo che è un tutt’uno con la Pòlis medesima”.
    Che dici Fabio, non intravedi nella Politica la medesima dinamica di erosione del professionismo che avviene in altri settori? E’ chiaro che il netizen totale è la conseguenza di un sistema totalitario e totalizzante, che schiaccia la sfera privata. Ma noi oggi partiamo da un contesto di conflitto di interessi in cui i corpi intermedi sono svuotati della loro funzione pubblica. Davvero stiamo passando da una sfera pubblica privatizzata ad una sfera privata annichilita dalla debordanza del pubblico?

  5. Non capisco.
    Al cittadino è consentito, anzi democraticamente auspicato, votare per un imbecille incompetente che manda cacciabombardieri sulla base della propria personale convenienza, e non è viceversa consentito votare direttamente sul cacciabombardiere a seconda di come il suddetto cittadino si è alzato la mattina?

    Io tra le due agghiaccianti prospettive non vedo proprio alcuna sostanziale differenza.

  6. A questo aggiungiamo il “brand” dei “beni comuni” che, accanto a quello della democrazia diretta sta rappresentando il collante ideologico di questa fase storica. Bene collettivo, bene pubblico, interesse collettivo, interesse generale erano tutti concetti già esistenti e declinati in norme costituzionali, ordinarie, prassi… nonché chiaramente identificate nell’immaginario collettivo. Oggi, al pari del concetto di rappresentanza, vengono spazzate via dal concetto di “bene comune” del quale, come per quello della democrazia diretta si stenta a vedere un netto configurarsi nella pratica sociale e politica, eccezion fatta per la loro equivalenza con interessi particolaristici, individuali e/o di gruppi definiti.
    E, in quest’ultimo senso che invece i nuovi brand mi sembrano perfettamente funzionali o quantomeno coerenti con l’attuale configurazione della struttura economica e produttiva. Essi appaiono come le ideologie più confacenti alla attuale fase del sistema capitalistico, come in passato i concetti di rappresentanza e interesse collettivo lo furono per l’economia fordista-taylorista. Oggi non si “vendono” prodotti -merci, e/o beni “culturali e informativi”- che richiamino in sè il senso comune delle idee collettive (o quantomeno di “parti”…) di sviluppo, di emancipazione e di progresso e quindi di futuro. Oggi si vendono prodotti che richiamano l’idea del senso comune dell’individuo sì, “partecipante e condividente”, ma fondamentalmente individuo che esaurisce la sua esperienza nel presente della propria e singolare verità assoluta. Tutti i pensatori che sono stati citati possono essere infatti utilizzati (e lo sono) per dimostrare la tesi esattamente contraria a quella esposta nell’articolo. E’ un’epoca “sofistica” …non a caso!

    • «Tutti i pensatori che sono stati citati possono essere infatti utilizzati (e lo sono) per dimostrare la tesi esattamente contraria a quella esposta nell’articolo».

      Questo mi interessa: me lo dimostri?

  7. ma perchè, mica la iper democrazia nega il principio di rappresentanza? Resta infatti sempre possibile che i cittadini votino altri cittadini per espletare le funzioni di governo. Quello che cambia è semplicemente la sostituzione dell’apparato dei partiti con le tecnologie della rete, oggi un qualsiasi amministratore può sapere cosa fare andando su internet e chiedendo alla gente direttamente, non chiedendo cosa deve fare al proprio partito: inoltre se si nega la capacità degli elettori di prendere decisioni ponderate, si nega la giustezza della democrazia, che ci può stare eh, visto chi abbiamo votato negli ultimi 30 anni!!

  8. I partiti hanno troppo potere. Una volta eletti passano anni prima di ripresentarsi all’elettore. E poi devo attendere altri anni prima di poter esprime con il voto un giudizio se quello che avevi promesso di cambiare lo hai cambiato. E cosi all’infinito. Serve un sistema di controllo in presa diretta. Al di là della democrazia che prende in tempo reale tutte le sue decisioni (una tecnica questa d esagerare gli opposti per screditarli in cui puo cascare solo una mente semplice). Se avessero qualcuno che gli mordesse le chiappe appena sgarrano perderebbero quella spocchia astiosa di “io so io e voi nu sete un …” e magari assumerebbero quella che piu gli sarebbe consana dei dipendenti in cui i datori di lavoro sono i cittadini.

    Inoltre hanno a loro vantaggio la comunione di interessi: anche se i programmi possono a volte essere differenti, l’interesse è sempre lo stesso ed uno solo: il tornaconto personale. Da questo punto di vista hanno creato un cartello politico in cui a qualsiasi offerente l’elettore si rivolga l’offerta è sempre la stessa (anche se ovviamente non dichiarata).
    Il meccanismo perverso si conclude con il controllo dei controllori (i mezzi di comunicazione per fare un esempio).

    E’ un sistema da scardinare a colpi di partecipazione democratica.

  9. Cito:
    “L’ipotesi che la futura computer-crazia, com’è stata chiamata, consenta l’esercizio della democrazia diretta, cioè dia a ogni cittadino la possibilità di trasmettere il proprio voto a un cervello elettronico, è puerile.

    A giudicare dalle leggi che vengono emanate ogni anno in Italia il buon cittadino dovrebbe essere chiamato a esprimere il proprio voto almeno una volta al giorno. L’eccesso di partecipazione, che produce il fenomeno che Dahrendorf ha chiamato, deprecandolo, del cittadino totale, può avere per effetto la sazietà della politica e l’aumento dell’apatia elettorale. Il prezzo che si deve pagare per l’impegno di pochi è spesso l’indifferenza di molti. Nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia.”

    Chi ha scritto tutto cio’ e’ un semplice imbecille: intanto si possono fare meno leggi, ma se certi parlamentari o governanti non hanno la capacita’ di sintesi, allora e’ giusto che tutti i cittadini siano a conoscenza di qualsiasi legge dal momento che la violazione delle leggi comporta sempre una sanzione amministrativa, civile o penale. Il cittadino e’ il vero sovrano quindi penso sia giusto che non solo tutte leggi per diventare effettive debbano essere approvate mediante referendum elettronico da ogni singolo cittadino (mediante l’uso di username e password personalizzate, per evitare che qualche furbetto usi il nome di un altro per votare le leggi), ma anche qualsiasi spesa, investimento o bilancio pubblico dovrebbe sempre ricevere il beneplacito dal popolo mediante lo strumento della democrazia diretta.

    • Tu puoi credere quello che vuoi, naturalmente – anche che Bobbio fosse un «semplice imbecille» (buona fortuna a dimostrarlo). Il punto è che devi rispondere nel merito alle critiche, il che non avviene dicendo cosa pensi tu.

      • penso che qualcuno ti abbia già dimostrato come i pensatori che citi come qualsiasi altro posso essere usati per dimostrare un discorso opposto al tuo… Non esistono fatti ma interpretazioni.

  10. Troppo facile spostare la sostanza del discorso per dare un senso completamente stravolto alle cose. Internet e la rete informatica sono soltanto un tramite, un mezzo di comunicazione, uno dei tanti. Sono inclusi giornali, telefoni, passaparola, e così via.
    La cosa importante è la possibilità per i cittadini di comunicare, e di organizzarsi, per esprimere le proprie idee, e dare mandato di rappresentanza a chi ha competenze da mettere in campo e non agisca per arricchirsi. Soltanto così si potrà evitare che corporazioni partitiche di furbetti continuino a tenere le redini dell’intero paese.
    Questi articoli sono inutili e fuorvianti, davvero patetici. Lasciate riposare Bobbio in pace.

    • «Internet e la rete informatica sono soltanto un tramite, un mezzo di comunicazione, uno dei tanti»

      Dillo a Beppe Grillo, grazie. Quanto a Bobbio, non ha scritto dei libri perché fossero lasciati ad ammuffire.

  11. “La distruzione dei partiti conduce all’autoritarismo”. A me pare che i più beceri autoritarismi del ‘900 siano proprio venuti dall’avanzata di alcuni partiti: fascista e nazista. Se consideriamo pure quello comunista in Russia o in Cina…. Fabio Chiusi, sarai mica un altro di quelli che cambia i fatti per farli collimare con le tue tesi ? : )

    • Qui si sta sostenendo che l’esistenza dei partiti sia una condizione necessaria, non sufficiente, per l’esistenza di una democrazia effettiva (con il sottinteso che la società deve essere pluralistica, come scrivono tutti gli autori menzionati, altrimenti il concetto stesso di partito è ininfluente, perché finisce per identificarsi con lo Stato – come in tutti i casi in cui il partito unico ha portato a regimi totalitari). Sarà mica che stai cambiando la logica per farla collimare con le tue tesi?

      • A me pare che la tesi che hai esposto in questa risposta al mio commento non sia esattamente quella contenuta nell’articolo.

        Cmq nel caso ora sia questa la tua tesi, mi pare ancora più strampalata perché parte dal pregiudizio secondo cui una democrazia per essere “effettiva” (come scrivi tu) deve essere necessariamente rappresentativa (e da qui inferisci la necessaria esistenza dei partiti).

        Argomenti questa tesi per assurdo dicendo: se così non fosse (se cioè volessimo fare una democrazia diretta con gli strumenti di internet) allora otterremmo qualcosa di non effettivamente democratico. Per sostenere questa via per assurdo, citi autori che sostanzialmente sono d’accordo con te e che ti aiutano ad affermare che una democrazia diretta su larga scala non sia percorribile. (autori che sono morti prima dell’avvento di internet, come tu stesso ammetti… e a cui è quindi preclusa la possibilità di cambiare opinione)

        Ora, tutto questo tuo sforzo argomentativo è fragile perché non si confronta mai con l’esperienza. Non lo fa nemmeno nel senso di “esperimento ideale einsteniano”. Converrai che ai tempi di Colombo sostenevano alla stessa maniera che la via per le Indie da ovest non era percorribile perché l’aveva detto Tizio e Caio… e colui che sosteneva l’impossibilità era totalmente d’accordo con tizio e caio. E magari citavano pure Plutarco come fonte autorevole, che però in tutta la sua vita non ha mai visto una barca più grande di una triremi.

        Il tuo post rimane nel puro campo dell’opinione infondata (per usare un’espressione platonica). Per dare credibilità dovresti (invece che citare Bobbio), provare a trovare un esempio di fallimento reale delle democrazia partecipata via internet su grande scala (che magari esiste e te ne sarei grato di portalo alla mia conoscenza, visto che sarebbe interessante per la discussione). Ma mi pare tu ti muova più sul campo dell’esorcismo che di quello di una pragmatica valutazione in base all’esperienza. Della serie: “vade retro se no succede l’apocalisse”. Più che nichilista, questo modo di filosofare è estremamente cattolico.

        Saluti

      • Non credo che troverai molti politologi che affermino una cosa del genere, cioè che i partiti siano una condizione necessaria per l’esistenza di una democrazia effettiva.
        Che non sia una condizione sufficiente è ovvio, ma che sia necessaria è tutto da dimostrare.
        In generale i politoligi hanno sempre considerato la delega un passaggio tecnicamente necessario solo in quanto la democrazia diretta era impossibile da realizzare.
        Che poi democrazia diretta è una tautologia, la democrazia diretta è democrazia tout court, in quanto democrazia significa appunto governo del popolo e nasce nell’anica Grecia ovviamente come diretta e non certo delegata.
        Hai trovato infatti dei politologi che affermavano, quando ciò effettivamente era vero, come non fosse TECNICAMENTE possibile una democrazia diretta in società complesse e articolate come sono quelle moderne occidentali.
        Oggi, questo, non è più vero.
        Ciò non rende per forza di cose la democrazia diretta auspicabile, ma nemmeno il contrario.
        Dovresti dimostrare come mai, nei fatti, si è rivelata un sistema peggiore di quella indiretta.

      • E’ un post su un blog, non un volume di scienza politica, e naturalmente è perfettibile. Tuttavia non trovo serva prendere argomenti di autori viventi per apprezzarne il rigore argomentativo. In sostanza: gli argomenti portati da questi autori, ovviamente privi di conoscenze sullo scenario attuale, secondo me sono ancora validi per i motivi spiegati sopra. Non vedo come una qualunque forma di democrazia diretta potrebbe invalidarli, ma se voi ne avete sono prontissimo a ricredermi e considerarli.

        Ancora: io non sono a conoscenza di uno Stato che sia retto da una forma di democrazia diretta elettronica o simili come quelle di cui parla Grillo, per esempio, quindi siamo per forza nel campo dei ragionamenti astratti. Tuttavia un aspetto concreto di cui non ho parlato – già così il post è pesante – è la sicurezza dei sistemi di votazione elettronica. Ho cercato di approfondire la questione in un lungo pezzo che dovrebbe essere in uscita, e appena viene pubblicato ve lo segnalo.

        Ultima cosa: naturalmente lo scopo del post è suscitare una discussione argomentata. Sono felice che almeno in questi due commenti è stato possibile, e spero vogliate portare le vostre osservazioni anche in seguito – sono le benvenute.

      • Che la democrazia diretta debba utilizzare internet o, comunque , un sistema elettronico non è assolutamente un dato di fatto.
        La rete è quella che permette al singolo cittadino di informarsi e di formarsi così un’opinione, non è detto che poi si possa e/o si debba utilizzare internet per votare.
        Premesso questo, anche io mi sono posto spesso, in passato, essendo del settore, il problema della manovrabilità del voto.
        Ma lo facevo PRIMA di vedere come funziona la democrazia diretta.
        Sempre facendo esempi pratici.
        Diciamo che ieri si fosse votato per fare o no la parata militare del 2 giugno e dal voto fosse uscito che la maggioranza degli italiani erano a favore.
        Chi ci avrebbe creduto?
        Se l’opinione si forma in modo trasparente attraverso la rete, se invece di sondaggi su 1000 persone si vedono in molti diversi media opinioni di milioni di persone, diventa poi praticamente impossibile manipolare il voto elettronico senza rendere evidente che è stato manipolato.
        Quindi, anche in questo caso, nei fatti, mi sembra che si dimostri un sistema molto più sicuro di quello delle deleghe.

  12. L’articolo è interessante ma assolutamente di retroguardia, buon per il povero Bobbio nel 1984, parla infatti di ipotesi quando, nella realtà, siamo già alle pratica reale di quello che si paventa e, perciò, le valutazioni dovrebbero essere pratiche e non teoriche.
    In Italia, senza prendere esempi esotici, siamo già entrati nella democrazia diretta, il problema è che chi fa parte delle burocrazie dei partiti non se n’è accorto o non se ne vuole accorgere, perché ha perso sia il prestigio che gli onori che i privilegi che derivavano dal fare da tramite.
    Le domande che dovresti porti sono:
    Alla prova dei fatti, le decisioni che una larghissima maggioranza degli italiani prendono direttamente, quando possono farlo (come, ad esempio, con i referendum quando viene raggiunto il quorum) o prenderebbero (con i referendum quando NON viene raggiunto il quorum) o attraverso vastissime mobilitazioni on-line/sui media/etc., sono più sensate o meno sensate delle leggi e delle decisioni prese dai partiti che dovrebbero rappresentarli?
    Sempre per la stessa tipolgia di fatti, queste decisoni, sono più o meno vicine alla volontà popolare?
    Ovviamente la risposta alla seconda domanda non può che essere che sono più vicine alla volontà popolare.
    Maggiormente interessante è la risposta alla prima domanda, ognuno, ovviamente avrà la propria opinione.
    La mia opinione è che sono incomparabilmente più sensate le scelte sia pratiche che ipotetiche prese direttamente dai cittadini.
    Potrei fare mille esempi, ne faccio solo qualcuno dei più recenti, dove le due posizioni sono molto distanti:
    Centrali nucleari
    Acqua pubblica
    TAV
    Acquisto aerei da guerra
    Presenza militare all’estero
    e, perché no, buttare soldi per la parata militare del 2 Giugno.

    Voi come la pensate?

  13. Democrazia diretta non è possibilità di votare su tutto tramite Internet.

    Democrazia diretta è soprattutto capacità di informarsi e di farsi un’idea direttamente, magari con l’aiuto di esperti che partecipano ad una community.

    E non è detto che lo si voglia fare su tutto, è giusto che ognuno si informi e voti su quello che più gli interessa.

  14. Capita raramente ma capita: non sono d’accordo con Fabio; ma apprezzo l’articolo in quanto motiva i contro (motivare le affermazioni oggi è una cosa più unica che rara).

    Non dico di essere a favore dell’eliminazione totale e immediata di parlamento e partiti (anke se le mie motivazioni sono diverse).
    Ad esempio cosa succederebbe se un problema tecnico, guerra, penuria energetica, sabotaggio, povertà… portasse alla disoconnessione dei cittadini o anche ad una parte di essi?

    Ma sono in disaccordo in particolare su 3 punti tirati in ballo in questo post.

    1) Si afferma che l’assenza di partiti porterebbe a una sorta di “referendum istantaneo permanente”: FALSO
    La rappresentanza diretta non prevede un “parlamento virtuale” di 60 milioni di onorevoli.
    Si può avere rappresentanza diretta anche con la delega. Mai sentito parlare di LIQUID FEEDBACK ???
    E’ vero che puoi votare direttamente la tua legge ma puoi anche delegare. Come oggi deleghiamo ai nostri rappresentanti una tantum e in toto.
    Quello che già si fa oggi insomma ma puoi farlo in modo molto migliore.
    Prima di tutto come già detto puoi anche votare direttamente ma non è un obbligo.
    1b) Puoi delegare e puoi delegare per argomenti\settori !!!!!
    Esempio: in campo economico mi fido delle idee e delle capacita di Tizio e delego a lui i voti solo per le questioni economiche, non capisce nulla di sistema educativo ergo delego il mio voto per le questioni sull’istruzione e la ricerca al mio amico Caio molto attento e secondo me vota in linea cn la mia opinione.
    Tizio e il mio amico Caio possono votare direttamente o delegare a loro volta e via… (e io so a chi viene delegato il mio voto e cm viene usato ovviamente)
    1c) Posso cambiare rappresentante “con un click” quando voglio. Anche oggi possiamo farlo. Solo che capita una volta ogni 4 anni in genere. Non cambierebbe molto, ma se il mio rappresentante Umberto si comporta male dopo un mese di incarico e non mantiene le promesse non devo aspettare la fine del mandato per correggere il mio voto.
    2) democrazia diretta = “paralisi decisionale” ? “paralisi decisionale” = fallimento ? FALSO
    Sdoganiamo il concetto di paralisi decisionale = male estremo. Se si propone una nuova legge e nn ci si mette d’accordo semplicemente tale legge non passa. Significa che non c’è una grande propensione democratica all’introduzione di tale legge e ciò non porterebbe all’anarchia più totale semplicemente si continuano ad applicare le leggi già in vigore. Sarebbe il caos per una “assemblea costituente” ma per una nazione già dotata di costituzione e sistema giuridico è un non problema!
    Se l’opinione pubblica o dei rappresentati fosse equamente distribuita e spaccata su un preciso argomento la paralisi decisionale sarebbe solo su quell’argomento. Mi sembra cha abbiamo già abbastanza leggi (anke se inapplicate) per regolamentare la società di civile di una nazione nella la vita moderna. Una legge che non passa implicherebbe il continuare ad applicare la legge precedente e non al disapplicare ogni norma e convenzione della società civile. Questa SCUSA del “mancato accordo” = “paralisi” = “male” è quella che ha condotto alla attuale antidemocratica forma elettorale trasformando i piccoli comuni de facto in PRINCIPATI “elettivi”.
    Ci sono comuni dove il 75% dei cittadini è rappresentato dal 12% dei seggi!
    Come è concepibile in una democrazia? Ok non c’è paralisi decisionale. Il sindaco (maggioranza relativa) prende ogni decisione senza nemmeno consultarsi… speditamente… agevolmente… massacra il proprio territorio senza dover rendere conto a nessuno… E’ un bene ciò?
    Se le leggi precedenti vanno bene e nn si trova un accordo perkè dovrebbe essere obbligatorio il cambiamento?
    Se la gente nn lo vuole è giusto non averlo !!
    Se non c’è paralisi decisionale ma le decisioni vengono prese da un sistema disallineato col volere popolare allora tanto vale essere conquistati da una potenza straniera (cosa che forse è attuale condizione anche se nn saprei delineare tale potenza: USA? Mafia? LegaUnitaDegliStupidi&Egoisti? Banche? Germania? Cina? PD? PDL? ), sarebbe la stessa cosa !
    Non so a voi ma a me non sembra un bene l’attuale alternativa in vigore rispetto alle possibili paralisi decisionale.

    3) “Ma si deve fare attenzione: perché la eliminazione dei corpi intermedi (tra cui i partiti) tra cittadino e Stato può significare non solo che i cittadini sanno tutto dello Stato, ma anche che lo Stato sa tutto dei cittadini.”
    Questa nn l’ho proprio capita! Scusate!
    Io cittadino devo sapere come tu stato e tu mio rappresentante spendi i miei soldi che io ti ho ceduto per occuparti della cosa pubblica, ovvero di ciò di cui nn posso o nn voglio occuparmi io ma che sta vicino e intorno a me (e anche se nn mene rendo conto direttamente o indirettamente mi interessa, se sn miliardario ma respiro polvere di plutonio faccio la fine di tutti gli altri poveracci, se sto da dio ma la gente si ammazza per una fetta di prosciutto prima o poi una pallottola vagante toccherà pure a me per dirla lunga e semplice)
    Questo non significa che tu stato devi conoscere la mia opinione, il mio credo religioso, i dettagli della mia vita personale o altro. Il voto potrebbe benissimo rimanere segreto fino all’ultimo passaggio di un avente delega che vota la legge…

    Concludendo; senza arrivare ad estremi seppur positivi IMHO come LiquidFeedback al posto del parlamento (bisogna prima affrontare problemi logistici come connettività per tutti gli aventi diritto di voto a banda minima di circa 150 Kbps garantita e GESTITA oltre che pagata dallo stato, centri di smistamento voto in caso di urgenza “vecchio stile” cm si fa oggi,…) forme di democrazia leggermente più diretta esistono in occidente e non paralizzano ne provacano alcuna involuzione negativa ai propri cittadini !! Svizzera e SanMarino votano per le decisioni riguardanti le grandi opere pubbliche (e in condizioni oneste non c’è alcuna sindrome NIMB !!)

    p.s. nn sn uno convinto che la gente sia in grado di prendere realmente ed esclusivamente per via diretta tutte le decisioni. Prima di tutto dovrebbe essere informata e nn lo è mai. Nemmeno oggi quando vota un rappresentante il cittadino è informato. E quel che è peggio è che nemmeno i loro rappresentanti lo sono quando prendono una decisione (e spesso è l’ipotesi migliore!!) o non la prendono…
    Ma non vedo aspetti negativi della cosa che non siano quelli già ora presenti.
    Anzi ne vedo molti di meno e vedo dei vantaggi.
    Certo preferirei un sistema partitico onesto e funzionante ma bisogna fare i conti cn la realtà: NON ESISTE
    Forse la democrazia diretta non è la perfezione ma non vedo nulla di meglio oggi. E se il senso dell’esistenza umana è il progresso (generico e totale e nn solo economico o tecnologico) il migliorare, l’aspirare al meglio ben venga un passaggio alla democrazia diretta oggi e un domani si vedrà cosa si può fare per migliorare ancora e ancora all’infinito…

    p.p.s. mi fa paura pensare alla gente che cn un click decide se fare o meno una guerra ma mi fa più paura pensare che tale decisione possa (E VIENE !!!!!!!!!!!!!!) presa da poki individui per meri motivi speculativi !!!!
    Non sn un sostenitore del meno peggio ma forse in casi estremi si (nn voto mai per il meno peggio! o voto o nn voto). Se si vuole considerare l’assenza di partiti un male minore benvenga!

  15. noi del Meeetup195bg stiamo usando da febbraio LF..ci sono alcune implementazioni che viene naturale auspicarsi a breve termine man mano che si prende confidenza nell’uso..
    tuttavia siamo tutti concordi nel ritenere che (viste le potenzialità INCREDIBILI) possa essere l’arma totale per poter concretizzare l’ormai “ex utopia” della democrazia diretta partecipativa..alla faccia di Norberto, pace all’anima sua..

  16. Dai commenti vedo che molti sono i fautori della cosiddetta democrazia diretta (alcuni dei quali la vedono già in essere in quest’epoca..) e quindi contrari al discorso fatto nell’articolo. Come ho detto in precedenza democrazia diretta e beni comuni sono due brand (marketing politico) assolutamente funzionali e rappresentativi delle attuali esigenze di copertura ideologica del capitalismo. Sono l’altra faccia di crowdsourcing, wikinomics, ecc…. Servono per assicurare che anche spinte potenzialmente contrarie alle regole strutturali del sistema vengano in realtà sussunte in esso dando la convinzione a coloro che le attuano di essere realmente “contro o al di là” di esso. Nessuna azione della rete, o del presunto popolo della rete o come altro lo vogliate definire, ha mai minimamente scalfito le logiche, dinamiche e meccaniche di funzionamento del sistema ivi compresa la distribuzione della ricchezza reale sul pianeta. Non a caso la maggior parte degli utenti internet …videogioca, e poco più di un gioco di ruolo è tutto questo. Ovviamente la democrazia diretta non esiste nella realtà che è fatta invece di democrazia rappresentativa come ipostatizzato e reificato nella legge. Su questo si rassicuri l’autore dell’articolo. Lo stesso uso del termine democrazia diretta così come quello di beni comuni (come dicevo in precedenza) è assolutamente ideologico ed è, rispetto al reale funzionamento della società, “irreale”. Anzi, potremmo definirlo “fumo a manovella”. Questo non significa che grazie a questo “fumo” qualcuno non ottenga vantaggi (a cominciare da chi usa la “manovella” che produce il fumo, ma anche a chi si posiziona in maniera utile nella catena di trasmissione del fumo stesso…) e che quindi il “fumo” abbia ricadute reali. E’ indiscutibile infatti la trasformazione in denaro che avviene di questo fumo che consente a taluni di campare o a tal’altri di assumere rendite di posizione e di potere nell’orientamento politico e culturale di gruppi. Ma quel che è importante ricordare è che nessun “fumo” potrà mai cambiare la struttura del sistema, anzi agevolarla. Per fare un esempio, basti pensare all’economia reale generata dai centri sociali che consente a diverse persone di vivere (alcune anche bene) con regole capitalistiche (in violazione di legge …a volte) utilizzando come elemento significante (appunto il “fumo”) la lotta al capitalismo. Del resto “il mondo è come uno se lo mette in testa” (altro proverbio delle mie partenopee origini…) e finchè ci sarà qualcuno disposto a veder volare gli asini …gli asini voleranno e si venderanno anche binocoli per vederli meglio!

    • Potresti anche avere ragione, ma anche no.
      Chi trae vantaggio da un certo sistema cerca di pepetuarlo in tutti i modi compresa la complicata e ultracomplottistica visione che hai esposto, plausibile ma complicata, forse troppo complicata.
      Io propendo sempre per la massima che dice di non cercare di spiegare in modo complicato qualcosa che può essere spiegato con la stupidità umana.
      In ogni caso, se anche fosse, non significa che chi prova a fare una cosa obbligatoriamente ci riesca.
      Il capitalismo, come la delega politica, a mio parere, hanno esaurito la loro capacità di interpretare la realtà attuale, quindi la loro fine non è determinata da fattori esterni ma da fattori interni.
      Ogni sistema crolla sempre dall’interno, è una falsa prospettiva quella che fa pensare che crolli dall’esterno.
      Non sono i barbari che invadono l’impero romano, è l’impero romano che ha perso la sua capacità di essere un sistema capace di non farsi invadere dai barbari.

  17. Io non appoggio la democrazia diretta. Ma tua obiezione è troppo istituzionale, mi dispiace dirlo. I partiti sono nati per essere tramite tra popolo (la “massa”) e governo, per fare da coagulatore di interessi e richieste del popolo. I partiti di massa sono nati proprio per rappresentare gli interessi delle classi sociali, spesso attraverso le lenti di una ideologia. Ma le classi sociali stanno scomparendo, così come le ideologie: e i partiti si trovano senza 2 delle proprie asse portanti. Anzi, 3: perché con la moderna tecnologia non c’è neanche più bisogno di un delegato per votare, come ben si sa.

    Andando più nel concreto, una società frantumata porta sempre più persone a non poter sottostare ad una disciplina di partito, a non poter più votare un partito condividendone le idee al 99%, e nello stesso tempo l’istruzione e la de-ideologizzazione porta i partiti a non poter più “istruire” i propri elettori come si faceva una volta.

    I cittadini probabilmente percepiscono questo cambiamento, e anche se non riescono bene ad analizzare la loro sensazione, a sintetizzare il problema, sentono che i partiti non gli servono più. Purtroppo è la storia che sembra portare alla distruzione dei partiti, almeno per come li conosciamo noi da più di 1 secolo a questa parte.

  18. Bello, e fondamentalmente giusto, la democrazia diretta e’ pericolosa e porta al caos, che porta all’autoritarismo. La ragione la capisco bene dopo aver letto “risk: the science and politics of fear”: le decisioni basate sugli spot, sulle emozioni, sul twitter sono immediate, forzate da onde di gruppo, spesso errate e soprattutto manipolabili, in particolare se l’elettorato e’ poco preparato e competente. Una livello intermedio tra la legittimita’ democratica e l’efficienza governativa deve esserci, ma con una missione piu’ chiara ed incisiva. Le decisioni efficienti di cui abbiamo bisogno necessitano di programmi pluriennali e sistematici e l’opinione popolare puo’ cambiare continuamente, gettando nel caos ogni tentativo di miglioramento. I tempi del governo efficaci sono molto piu’ lunghi. La partecipazione dei cittadini e’ una cosa buona, ma non deve interferire troppo con I programmi (seri) di governo che necessitano di costanza.

  19. Bello e ha soprattutto ragione, la democrazia diretta e’ pericolosa e porta al caos, che porta all’autoritarismo. La ragione la capisco bene dopo aver letto “risk: the science and politics of fear”: le decisioni basate sugli spot, sulle emozioni, sul twitter sono immediate, forzate da onde di gruppo, spesso errate e soprattutto manipolabili, in particolare se l’elettorato e’ poco preparato e competente. Una livello intermedio tra la legittimita’ democratica e l’efficienza governativa deve esserci, ma con una missione piu’ chiara ed incisiva. I tempi di governo sono lunghi… La partecipazione diretta dei cittadini e’ cosa buona e giusta, ma come vigilanza e per comprendere meglio, non per creare un casino con la democrazia diretta

  20. Vado un po’ a braccio… personalmente ho trovato l’articolo ‘canonico’ in maniera quasi corroborante. Mi spiego: Chiusi ha sviluppato una riflessione piuttosto ‘densa’ sulla rappresentatività nel solco di una tradizione politologica ampiamente condivisa (e i rimandi stanno a dimostrarlo). Personalmente sottoscrivo in pieno la sua riflessione. Riguardo ad alcune voci critiche – quelle più sensate, almeno – mi permetto di rilevare un punto che non mi sembra sia stato toccato (potrei sbagliarmi, nel caso chiedo venia). Molti contributi si sono concentrati sulla delega (ogni quattro anni, ogni tre settimane, distribuita per competenze, la conferisco e la tolgo a piacimento, etc.), ma svolgere una riflessione sulla delega senza accompagnarla a una riflessione sulla ricerca del consenso attraverso cui si ottiene quella stessa delega è un’esercizio sterile.

    Nella democrazia ateniese classica, ad esempio, le deleghe erano distribuite per estrazione. In altri sistemi politici (esempio classico è il collegio cardinalizio che elegge il pontefice) la delega viene distribuita attraverso cooptazione. Nei sistemi democratici la delega si conquista attraverso la votazione. La ricerca del consenso da parte di chi ambisce alla delega è una delle chiavi di volta del sistema. Nella democrazia rappresentativa questo processo è piuttosto codificato, non privo di difetti, ma collaudato: è un meccanismo che tramuta una (auspicabilmente) legittima ambizione in una delega. Nell’iperdemocrazia diretta del web 2.0 – così come configurata in qualche post – la delega si dà, si toglie neanche fosse il saluto… e dunque, cosa si fa per conquistarla?

    I partiti sono quelle entità che nella politologia classica si definiscono come ‘corpi intermedi’. La loro funzione è, tra l’altro, quella di selezionare formare le élites dirigenti di un paese. Di èlites non se ne può fare a meno: non sono mai esistite società umane prive di élites. E’ la qualità della classe dirigente che fa davvero la differenza. E’ evidente che l’Inghilterra edoardiana ha prodotto Winston Churchill, l’Italia del riflusso ha prodotto Silvio Berlusconi. Evidentemente uno dei due sistemi politici relativi è disfunzionale: indovinate voi quale.

    Qua e là, tuttavia, qualcuno sostiene che – sebbene non una forma di democrazia diretta – si potrebbe configurare un sistema per cui la delega viene assegnata a “esperti”. Un brainstorming in rete e poi si delega all’esperto. E’ una forma di governo che già è stata descritta in scienza politica e si chiama ‘tecnocrazia’.

    Morale del mio ragionamento: chi tra voi propugna la democrazia diretta evoca un moloch piuttosto inquietante (concordo con Chiusi) e finge di non sapere che la dimensione politica ha bisogno di leaders, di visione, di anima. E, considerato che quando si parla di Grillo e del M5S stiamo parlando di leader (assai carismatico, a giudicare dai risultati) e di un marchio di sua proprietà, direi che il problema si pone. Ritengo che dal web sia meglio auspicarsi la nascita di una partecipazione maggiore, una consapevolezza maggiore, strumenti di delega più attivi, piuttosto che una “democrazia totalitaria”.

      • Un attimo, Fabio. Parliamoci chiaro: una “democrazia diretta” è un idealtipo weberiano, una costruzione intellettuale che può servire come canovaccio di riflessione, ma che non è dato riscontrare nella realtà. Diciamo che, in quanto idealtipo weberiano appunto, essa costituisca il capo di un ‘continuum’ al cui estremo opposto si possa collocare… cosa? Una monocrazia assoluta, ad esempio? Va bene… è ovvio che, tutti i sistemi politici esistenti nella realtà si possono collocare all’interno di questo ‘continuum’ a seconda che siano più o meno partecipativi, più o meno eterodiretti, più o meno autocratici, etc.

        Ora: ammesso e non concesso che lo strumento della delega sia inesistente nel ‘tipo ideale’ di democrazia diretta (e secondo me non lo è) certamente essa deve esistere in qualche maniera nelle forme di democrazia diretta che possono essere umanamente sperimentate.

        Si dice: nella democrazia diretta ognuno può discutere tutto, si vota tutto. Ma chi decide che cosa è “tutto”? Chi decide l’ordine in cui tutto viene votato o viene anche solo sottoposto al dibattito? Anche solo la necessità di una moderazione, di una regolamentazione degli argomenti prevede implicitamente una forma di delega: minima, se vogliamo, ma esistente. Lo spazio e il tempo della delega (anche nella teoria, ma ancor di più nella realtà) può essere compresso, minimizzato ma non eliminato. Il volume delle scelte reali le rende impossibili da sottoporre ‘in toto’ ad una popolazione: la cernita è essa stessa una forma di delega.

        Non per niente nella presunta esperienza di democrazia diretta che, nelle parole dei suoi membri, si pretende più estrema – ossia quella del Movimento 5 Stelle – dove tutti faranno brainstorming e i geometri e gli analisti di borsa migliori del pianeta presteranno gratuitamente la loro esperienza al movimento, la delega a un leader non è stata concessa: se l’è direttamente comperata registrando marchio e piattaforma di discussione.

        La democrazia diretta (o democrazia totalitaria, o iperdemocrazia) non esiste e non esisterà mai, così come i suoi opposti: saranno sempre e solo pure forme teoriche a cui i regimi reali potranno solo accostarsi più o meno.

        Quello che – a mio avviso auspicabilmente – può avvenire è che la rete, anche attraverso forme di e-government, aumenti sempre più il campo della partecipazione, della contribuzione intellettuale dei cittadini all’amministrazione e alla formazione delle decisioni. Tutte cose che stanno più o meno avvenendo, senza troppi millenarismi, nei paesi più avanzati e – in fin dei conti – anche da noi. E qui il merito va sicuramente al Movimento 5 Stelle, nonostante le sue contraddizioni di fondo. Quello che mi sembra assurdo è prefigurare un futuro in cui tutti voteranno su tutto senza bisogno di assemblee legislative.

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