Tiritere di uno scemo e di un orbo cui Grillo non sa rispondere

«Che cos’è? Una piattaforma? Un portale? No, è il Sistema Operativo del M5S», scrive Beppe Grillo, dopo mesi e mesi di promesse e ritardi della fantomatica «applicazione» (così la chiama Casaleggio, almeno lui usa il termine giusto, Beppe?) per la democrazia digitale del MoVimento 5 Stelle. Ma guai a fare domande. Chi osi ricordare all’ex comico le sue promesse è scemo oppure orbo, scrive con la consueta volontà di confronto. E le domande non sono nemmeno tali: sono «tiritere da giornalista pidimenoellino».

Siccome è un anno e mezzo che cerco di porgli domande sull’argomento (a lui o a Casaleggio) senza successo, e siccome credo che la promessa di democrazia digitale sia una cosa complicata ma seria, vorrei proseguire la mia tiritera (pur da noto astensionista, mi spiace Beppe) ricordando al «capo politico» del movimento e al suo antiquato ideologo quello che da qualche tempo tutti hanno potuto registrare con le proprie orecchie. Sì, anche noi pennivendoli:

«Per le politiche i candidati del M5S saranno scelti on line e il programma sarà discusso e completato attraverso una piattaforma in Rete» (16 settembre 2012).

«P come Programma: Il Programma del M5S esiste (chi dice il contrario mente) ed è visibile sul blog. Prima delle elezioni politiche sarà integrato e migliorato dagli iscritti al M5S attraverso una piattaforma on line» (Beppe Grillo, 6 novembre 2012).

«In futuro tutte le proposte confluiranno nella piattaforma Liquid Feedback, gli specialisti le scriveranno e i cittadini potranno votare la scelta migliore» (Beppe Grillo, 22 marzo 2013).

«L’applicazione per la discussione da parte degli iscritti delle proposte di legge dei nostri parlamentari sarà rilasciata entro il mese di settembre» (Beppe Grillo, 19 settembre 2013).

Insomma, una piattaforma che non è piattaforma, che è in arrivo ma non deve arrivare (guai a dire il contrario), che serviva per integrare un programma che non è stato integrato e per discutere insieme leggi che non sono state discusse.

Il tutto proprio mentre alcuni eletti del M5S incalzano sull’argomento (Orellana: «Ancora una volta lo staff ci prende in giro»; Battista: «Non pervenuta»), e a breve distanza dalla scomunica (incomprensibile secondo la logica di Grillo per cui i cittadini devono attivarsi e fare da soli, non aspettare sia lui a fare per loro) dell’unico tentativo concreto visto finora di democrazia digitale «liquida» nel movimento, il ‘Parlamento Elettronico’. Un caso?

Più che una «tiritera» sembrano legittimi dubbi, caro Beppe. E il fatto che non giungano mai risposte nel merito non fa che confermarlo.

Ancora. Sì, sappiamo che l’«applicazione» è in fase di test. Ma come mai circondare di tanta segretezza un lavoro che gli attivisti locali hanno invece condotto in modo totalmente trasparente, coinvolgendo i «cittadini»? Si può sapere se, per esempio, sarà a codice aperto o meno? Chi la sta sviluppando e come? Con quali costi? Come mai le caratteristiche non sono discusse a loro volta in rete? E tante altre tiritere che ti risparmio, Beppe, perché tanto non hai le risposte.

Cosa significa il PS di Grillo sulla democrazia digitale del M5S

Le cose stanno così. Dopo più di un anno di lavoro, gli attivisti del M5S Lazio realizzano una piattaforma online – molto avanzata e interessante – di democrazia partecipativa, il ‘Parlamento Elettronico‘. La presentano in fase di test in Senato, ai senatori del movimento proprio oggi, come si evince da questo post su Facebook di Emanuele Sabetta, tra i coordinatori del progetto:

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Gli attivisti sanno di muoversi su un terreno scivoloso: quella ufficiale deve provenire dallo staff di Casaleggio, e anche se è in lavorazione da tempo immemore tra annunci e ritardi bisogna attendere che sia pronta. E poi l’ambizione è rivolgersi ai gruppi locali, non all’attività dei parlamentari del M5S. I due siti su cui proporre e discutere leggi, insomma, sono complementari. Il consigliere regionale del Lazio, Davide Barillari, me lo ha ripetuto più di una volta: l’ultima, non più di un paio di mesi fa in un pezzo per l’Espresso:

«Non c’è alcuna contrapposizione con Grillo e Casaleggio su questo progetto. Lo abbiamo ripetuto all’infinito chiedendo anche rettifiche ai giornalisti che affermavano il contrario».

Sarà. Ma i fatti sono che proprio nel giorno in cui l’iniziativa varca ufficialmente la soglia di Palazzo Madama e raggiunge le orecchie dei senatori a Cinque Stelle, Beppe Grillo (o meglio, Gianroberto Casaleggio) se ne esce con un post in cui annuncia che la tanto agognata piattaforma sarà a pieno regime tra settembre e fine anno. Ma anche, e soprattutto, che si chiude con il solito, spiacevole post scriptum:

Ps: Si ricorda che non esistono applicazioni certificate al di fuori di quelle del blog.

E quali altre «applicazioni» sarebbero in lavorazione oltre a quella dello staff di Casaleggio se non, appunto, il ‘Parlamento Elettronico’? E poi, che sia un caso una simile precisazione proprio nel giorno della presentazione in Senato?

Direi proprio di no. Dunque i fatti sono che gli attivisti prendono alla lettera Grillo, si mobilitano per cambiare loro stessi le cose nel senso indicato dal loro «capo politico» (che infatti citano ovunque come fosse il Vangelo – si vedano homepage e documenti descrittivi del progetto) senza attendere che sia qualcun altro a cambiarle per loro; e lo fanno mobilitando le loro intelligenze, «dal basso», coinvolgendo esperti della materia e cittadini. Proprio come piace a Grillo e, devo dire, con risultati davvero notevoli.

E Grillo che fa in tutta risposta? Prima non li degna di una sola parola pubblica di apprezzamento, e poi – quando il progetto rischia di commettere una invasione di campo raggiungendo gli eletti in Parlamento – pubblicando quel post scriptum che tutto sembra fuorché un incoraggiamento.

Barillari, interpellato nel gruppo di discussione del ‘Parlamento Elettronico’ su Facebook, nicchia: «Non conosciamo la piattaforma di Casaleggio per poterla giudicare», scrive. E, incalzato: «La nostra è per il livello regionale, la sua per il nazionale. Nessun problema su questo». Ma non leggo nelle parole di Grillo – le uniche mai pronunciate pubblicamente al riguardo – un endorsement dell’iniziativa che Barillari giustamente difende anche solo a livello locale. Quella di Grillo sembra una scomunica e basta. La parola è del resto quella usata per distinguere chi ha diritto di cittadinanza nel movimento e chi no: certificata. Se Grillo non la certifica, che ne è della piattaforma e degli sforzi che è costata?

Se queste sono le premesse della «democrazia diretta del MoVimento 5 Stelle», c’è poco di cui essere fiduciosi per lo svolgimento.

Il caso Gambaro, sedici anni prima

«Decida la Rete», abbiamo sentito ripetere ossessivamente in questi giorni dagli esponenti del MoVimento 5 Stelle rispetto al caso della dissidente Adele Gambaro. Ma non c’è niente di democratico nell’ipotizzare l’espulsione di chi critica il leader (divenuto improvvisamente «capo politico» a tutti gli effetti, e non più solo per necessità di forma). Che sia deciso «dalla Rete» o meno (terribile l’identificazione degli utenti su Internet con gli iscritti al portale di Grillo abilitati al voto, tra l’altro; ancora peggio l’idea che «la Rete» – e non chi la abita – possa decidere alcunché), in streaming o in segreto, da cento persone o da centomila non cambia assolutamente nulla: l’identificazione di dissenso, dissidenza e crimine sarebbe semmai un esercizio di forme di gestione del consenso autoritarie – se non fosse che l’oscena ridda di insulti e accuse reciproche di cui siamo stati testimoni in questi giorni è degna più di una parodia di un sistema autoritario, che di una macchina repressiva vera e propria.

La vicenda Gambaro, in sé, è poca cosa: tutti i partiti (che si riconoscano come tali o meno) litigano al loro interno. E di norma, quei litigi sono assai poco interessanti per chiunque non vi faccia parte. L’attuale dialogo interno al M5S non fa certo eccezione. Molto più rilevante è invece ciò che testimonia. E cioè il fallimento del metodo decisionale proposto da Grillo, e della sua idea del rapporto tra Internet e democrazia.

Lo avevo già scritto per il caso Mastrangeli, e in un’analisi complessiva della prospettiva teorica del M5S: l’«iperdemocrazia» di Gianroberto Casaleggio si traduce, al netto delle idealità, in un uso plebiscitario della rete. Casaleggio non risponde mai, guarda caso, a questo tipo di critiche (ho provato a interpellarlo, argomenti alla mano, per oltre un anno – nessuna risposta, e di rilasciare un’intervista non se ne parla). Anche quando a muoverle siano suoi parlamentari. Come Paola Pinna. Che a La Stampa aveva detto, cogliendo il nocciolo della questione:

«(…) vediamo la Rete consultata quasi esclusivamente per emettere sentenze, come per le espulsioni. Il ruolo di tribunale del popolo non mi sembra particolarmente dignitoso. Stiamo rischiando molto».

Sarà una coincidenza, ma ora si parla di espulsione anche per lei.

Ma a prescindere dai singoli casi, nessuno meglio di Stefano Rodotà – l’ex candidato al Quirinale del M5S, poi rinnegato da Grillo – illustra il problema nei suoi caratteri più generali. E, al contempo, concreti. Scrive Rodotà, ed è il 1997, che «L’interattività (…) può essere messa al servizio di procedure di ratifica» (p. 40). Si noti che il concetto di ratifica è lo stesso usato, ma senza la sua accezione negativa, da Grillo nel codice di comportamento degli eletti proprio riguardo alle decisioni in rete. Ma che significa esattamente? L’ex Garante della privacy lo spiega poco oltre, a pagina 46:

«Se si vuole discutere seriamente di politica e tecnologia (…) bisogna evitare una versione riduttiva dell’una e dell’altra. Gli strumenti resi disponibili dalle diverse tecnologie dell’informazione non debbono essere considerati soltanto come mezzi che rendono possibile un voto sempre più facile, rapido, frequente. Così verrebbe accolta una visione ristretta della democrazia, vista non come un processo di partecipazione dei cittadini, ma solo come una procedura di ratifica, come un perpetuo gioco del sì e del no, giocato da cittadini che tuttavia rimangono estranei alla fase preparatoria della decisione, alla formulazione delle domande alle quali dovranno rispondere. Il mutamento concettuale e politico è evidente. La democrazia diretta diventa soltanto democrazia referendaria e, all’orizzonte, compare piuttosto la democrazia plebiscitaria» (da Tecnopolitica, Laterza, seconda edizione).

È il caso Gambaro, sedici anni prima. E la dimostrazione che il pensiero, quando lo si ascolta, può essere una buona guida all’azione. Peccato Grillo e i suoi abbiano intonato il nome del giurista per settimane senza averne mai letto gli scritti: ne avrebbero tratto un beneficio di gran lunga superiore a quelli derivanti dall’operazione politica condotta per presentarlo come un uomo «della Rete». Quando invece è solamente un uomo che pensa, e bene.

La Rete di Grillo non esiste

(Da Limes 4/2013, pp. 109-115)

Al cuore dell’offerta politica e della «rivoluzione culturale» del MoVimento 5 Stelle c’è una concezione irrealistica della «Rete», usata in modo strumentale dal suo ideologo Gianroberto Casaleggio e dal «garante» Beppe Grillo per dare corpo alla differenza fondamentale che intercorre tra i Cinque Stelle e «i partiti». Ovvero, l’idea che dalla democrazia rappresentativa così come la conosciamo si debba – per uscire dalla crisi istituzionale, economica e sociale in cui ci troviamo – gradualmente approdare a una «iperdemocrazia» basata essenzialmente sull’uso di Internet per sostituire i partiti politici1. E l’articolo 67 della Costituzione, il divieto di mandato imperativo, da mutare in un rapporto di totale «dipendenza» degli eletti (che divengono così meri «portavoce») dagli elettori.

È infatti «alla totalità degli utenti in Rete» (e non dei cittadini) che il «non statuto» – come lo statuto vero e proprio – del M5S riconosce «il ruolo di governo e indirizzo normalmente attribuito a pochi»; e la sua sede coincide con l’indirizzo web beppegrillo.it. «È la Rete che cambia tutto!», gridava l’ex comico dal palco di Piazza San Giovanni, concludendo trionfalmente lo Tsunami Tour che ha contribuito a portare il M5S al 25,5% dei consensi alle elezioni politiche 2013. Una visione che ben si accorda con quella dei tanti movimenti nati, pur senza accettare la sfida di entrare nelle istituzioni per cambiarle, in tutto il mondo: dagli Indignados a Occupy Wall Street.

A uno sguardo superficiale, i proclami tecno-entusiasti sembrerebbero giustificati. Dal 2005, anno di nascita del blog, a oggi, Grillo è riuscito – grazie alla piattaforma Meetup.com – a dare corpo prima a una moltitudine (gli ultimi dati dicono siano oltre 500 in 381 città di 11 Paesi diversi2) di gruppi locali nati sul web e cresciuti grazie all’interazione con modalità più tradizionali di attivismo politico (gazebo, volantinaggi, incontri, convegni); e poi, dal 2009, a un movimento nazionale vero e proprio, il M5S appunto, capace di passare dal 2-3% degli esordi a sondaggi fino a quasi il 30% dei consensi. Si badi bene, in tutto il Paese, e pescando – pur se maggiormente a sinistra – da tutti i tipi di elettorato3. La soluzione del problema di coordinare i due livelli, locale e nazionale, dipende in buona parte secondo gli attivisti4 da come verrà realizzata ed effettivamente implementata la piattaforma informatica di partecipazione «dal basso» cui i tecnici di Casaleggio stanno lavorando da oltre un anno, e che pare in dirittura d’arrivo.

Ma se la tecnologia gioca un ruolo determinante nell’organizzazione della politica a Cinque Stelle, siamo sicuri sia stata altrettanto importante nel garantirne il successo? I dati provenienti dalle elezioni dello scorso 24 e 25 febbraio sembrano non supportare l’affermazione, che dà il titolo a un’analisi di Casaleggio dopo l’ottimo risultato alle amministrative 2012, per cui «le prossime elezioni si vincono in Rete»5. Prima di tutto, nessuno dei tanti (troppi) analisti dei flussi conversazionali e di presenza sui social media è riuscito a predire il risultato delle urne, né per «i partiti» né per Grillo6.

Si prenda per esempio la mappa delle menzioni su Twitter per Grillo prodotta da Tycho Big Data per La Stampa (lanciata sotto l’ambizioso cappello «perché ha vinto chi vincerà stasera le elezioni»), e la si confronti con quella dei voti realmente ottenuti dal M5S.

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Se in regioni come la Liguria e il Lazio i risultati sembrano sovrapponibili (rispettivamente, il 32,1 e il 28% di preferenze cui si associano una frequenza di menzione «alta» e «molto alta»), altrettanto non si può dire per Marche (32,1% di consensi reali, con picchi del 33,5 a Pesaro e Urbino – ma la frequenza in regione è «bassa»), Friuli (27,2%, frequenza «bassa») e soprattutto Sicilia. Dove, a fronte di una frequenza di menzioni su Twitter «bassa», il M5S ha raccolto il 33,5% dei voti con punte addirittura del 40% a Trapani, del 39,3% a Ragusa e del 37% a Siracusa. Ancora, i dati non si correlano se non marginalmente con la mappa del digital divide7 – cioè la difficoltà di accedere a Internet – nel Paese, che in ogni caso è agli ultimi posti per connettività tra quelli sviluppati.

Difficile dunque spiegare il successo elettorale in termini unicamente dell’uso più o meno «perfetto» di Internet da parte di Grillo e dei suoi. Non a caso, gli analisti più attenti delle cause della loro affermazione dicono altro. Prima di tutto, contrariamente a quanto sostiene Casaleggio, la Rete non sta «sostituendo» gli altri mezzi di comunicazione. Secondo l’istituto Cattaneo, anzi, perfino tra i Cinque Stelle il principale strumento di informazione resta la televisione8.

Ancora, Biorcio e Natale – osservando la lenta ascesa dei consensi del M5S, paragonabile a quella della Lega di Bossi piuttosto che a quella di Forza Italia e Berlusconi – scrivono che «soltanto quando si afferma il tema centrale, la critica feroce alla classe politica (…) inizia realmente l’ascesa». Per precisare poco dopo: «Sono la crisi delle tradizionali forme di partito», giunte dopo l’esperienza del governo Monti ai minimi storici, «e la feroce alterità nei confronti dei politici contemporanei (…) a rimanere i due tasselli fondamentali del successo di Beppe Grillo». Ilvo Diamanti aggiunge: «Il successo del M5S, nell’ultimo anno, dipende, in larga misura, dal sostegno e dal consenso di elettori che non frequentano il suo blog, non partecipano ai Meetup né alle manifestazioni promosse dal leader»9Insomma, se avesse vinto le elezioni «in Rete», non si capisce perché l’abbia fatto solo ora e non già prima. E, soprattutto, non si capisce perché altri partiti presenti in Rete con modalità di coinvolgimento perfino più avanzate di quelle – sostanzialmente ‘broadcast’, unidirezionali – di Grillo10 non ne abbiano beneficiato affatto.

***

Non c’è dunque nessun automatismo nella corrispondenza tra il primato del M5S online e nelle urne. Ma, per capirlo a fondo, bisogna chiedersi: cos’è «la Rete» secondo Grillo e Casaleggio? Dalla lettura del loro vero e proprio manifesto politico, Siamo in guerra (2011, Chiarelettere), emerge la visione di una entità radicalmente rivoluzionaria (la sua comparsa nella storia è un evento unico), dotata di leggi sue proprie, immutabili (a cui le norme sociali – per prime, quelle che regolano la convivenza democratica – devono piegarsi, piuttosto che viceversa), il cui cammino è destinato a portare con sé una promessa millenaristica e salvifica (si vedano i proclami di Casaleggio nel video ‘Gaia: the future of politics’) e, soprattutto, che sta al centro sia della definizione che della soluzione di ogni problema.

Caratteristiche che, utilizzando la terminologia impiegata dallo scienziato politico bielorusso Evgeny Morozov nel recente volume To Save Everything, Click Here (2013, Penguin Books), possono essere definite «epocalismo» (l’idea che Internet rappresenti una rivoluzione «inedita», un primum nella storia umana), «Internet-centrismo» (tutti i problemi vanno definiti e affrontati attraverso Internet) e «soluzionismo» (la convinzione che la politica sia fatta di bug che abbisognano di un aggiustamento, fix, ottenibile – sempre – tramite un numero finito, algoritmico, di passi).

Fare ricorso all’armamentario concettuale di Morozov non è un vezzo accademico, ma il modo per ricondurre l’ideologia di Casaleggio e Grillo a radici che affondano nella storia del pensiero tecnologico e – soprattutto – degli evangelisti e intellettuali di Silicon Valley dell’ultimo ventennio. E, una volta compiuta questa operazione, applicare all’«iperdemocrazia» a Cinque Stelle le critiche che Morozov applica a quella tradizione.

Prima di tutto, per dire che «la Rete» abbia in realtà dato luogo agli stessi (eccessivi) proclami di rivoluzione democratica scaturiti dall’invenzione della stampa, del telefono e della televisione; che non sia dotata di alcuna legge di natura intrinseca e necessaria, come dimostrato dalle aspre battaglie politiche necessarie a mantenerne la regolamentazione a livelli compatibili con la libertà di espressione11; e che decisioni come quella di dare il proprio voto a Pietro Grasso per la presidenza del Senato o affidare la fiducia al Pd nella formazione di un nuovo governo siano tutte politiche, e non certo risolvibili con un algoritmo che esegua la sommatoria di qualche migliaio di click online.

Ancora, per sostenere che «la Rete» di cui parlano i due ideologi del M5S non esiste. E del resto, non è difficile crederlo leggendo alcuni passaggi del già citato Siamo in guerra. La Rete, scrivono i due, «è francescana, anticapitalista» («nel web le idee e la loro condivisione valgono più del denaro»; Mark Zuckerberg annuisce); «permette all’ignaro investitore di comprendere i misteri della Borsa» (sarà per questo che brancoliamo nel buio rispetto a come regolare il trading algoritmico12 e risolvere la crisi economica in atto dal 2008); darà i natali a «nuovi Dostoevskij del digitale», «renderà i politici del futuro più intelligenti», e noi tutti più onesti. Perché «non rubi attraverso la Rete».

Ancora e soprattutto, la Rete «assomiglierà a un genio della lampada che ci risponderà su qualunque argomento». Ed è questo il fulcro del problema qualora si osservi il movimento non come catalizzatore di una protesta diffusa contro i partiti e l’attuale classe dirigente, ma come motore di un cambiamento radicale del nostro sistema istituzionale. È grazie all’«intelligenza collettiva» sviluppata su Internet mettendo in connessione i «terminali» a Cinque Stelle, questa l’idea, che ogni problema trova magicamente soluzione13. Una panacea per ogni male. Le agenzie interinali per collocare i lavoratori che usufruiranno del reddito di cittadinanza propagandato nel programma del M5S? Saranno la Rete, ha detto e ripetuto Grillo nei suoi comizi. Le parti mancanti del programma stesso? Ci pensa la Rete. Allo stesso modo, sarà la Rete a eliminare – pur gradualmente – ogni menzogna e falsità (nel frattempo, si apra la caccia ai ‘troll’, i disturbatori sul blog di Grillo14) e «gran parte delle strutture gerarchiche» che le diffondono. Tra cui, gli odiati giornali, ma anche gli esperti, gli intellettuali e chiunque anteponga sostanzialmente l’«io» al «noi». Nelle parole del neo-eletto Andrea Cioffi all’incontro romano all’Hotel Universo, «dobbiamo demolire il nostro ego per metterlo al servizio dell’Idea complessiva».

‘Internet-centrismo’ e ‘soluzionismo’ allo stato puro, per dirla con Morozov. Che hanno la sgradevole conseguenza di ridurre i cittadini a consumatori (che, come tali, «hanno sempre ragione»), i politici a «dipendenti» costretti a obbedirvi in ogni caso (e se la maggioranza fosse in errore?) e la politica a un contrattare continuo che tuttavia si risolve sempre e necessariamente nella decisione dei pochi che hanno tempo e capacità per stare sempre a contrattare15, e nel «mi piace» tramite referendum istantanei permanenti di tutti gli altri.

Ci sarebbe l’istituto della delega «liquida» che deriva da sistemi informatici come «Liquid Feedback», utilizzato dai Pirati Tedeschi e che consente di affidare e revocare la delega in maniera selettiva e temporanea a seconda dell’argomento trattato. Ma, come ricorda Morozov, siamo sicuri lo sforzo necessario a capire di chi fidarsi sia inferiore rispetto a quello che serve per decidere da sé? E ancora: siamo sicuri che la «democrazia liquida» non dia solamente l’impressione di una maggiore partecipazione alla vita democratica? Dopotutto, alle parlamentarie del M5S hanno preso parte poco più di 32 mila attivisti – quando la base elettorale è di oltre otto milioni di italiani.

Nel movimento si è tanto discusso, e molto si discute, rispetto alla «democrazia interna»; e i critici non mancano di osservare che l’ideale della trasparenza assoluta – incarnato nello streaming, più o meno rispettato, di ogni riunione a contenuto politico del movimento e non solo – è terribilmente controproducente per la natura della politica stessa, che è compromesso e non può fare di un metodo (la trasparenza, appunto) un fine. Eppure poco o nulla si discute se, come scrive Riccardo Luna in Cambiamo tutto!, sia vero che «questo dell’intelligenza collettiva non è più solo un mito per tecno-utopisti: è un fatto». E se invece non lo fosse? La domanda è lecita in un Paese in cui un italiano su due non ha letto alcun libro negli ultimi dodici mesi e sette su dieci hanno difficoltà a comprendere un testo di media complessità scritto in lingua italiana.

Ancora, se è in Rete che questa «intelligenza» deve prodursi, va considerato il fatto che l’Italia – come detto – è tra i paesi sviluppati con maggiori problemi in termini non solo di carenze infrastrutturali per accedere a Internet (e come si esprime, nell’«iperdemocrazia», chi non è connesso?), ma anche e soprattutto dove il digital divide si coniuga in termini di deficit culturali e di genere.

Da ultimo, possibile produrre «intelligenza collettiva» nell’ecosistema web che ha in mente Grillo, dove l’anonimato è bandito (le regole per commentare al suo blog lo vietano), migliaia di commenti scompaiono senza capire bene perché e, soprattutto, c’è sempre il rischio che un non ben identificato «staff» equipari un commento critico a «trolling», cioè molestia digitale, e dunque faccia di ogni dissenziente un dissidente a rischio espulsione?

***

Date tutte queste condizioni, l’idea centrale su cui si regge la parte propositiva e di metodo dell’offerta politica del M5S – quella che lo distingue essenzialmente da tutti gli altri, i «partiti» – potrebbe rovesciarsi nel suo opposto, in «demenza collettiva». Un movimento che catalizza il consenso di un italiano su quattro avrebbe il dovere di porre all’ordine del giorno un simile problema, e discuterlo – se davvero crede si tratti di una questione risolvibile con un dibattito collettivo in Rete – proprio sulle piattaforme online che dovrebbero distinguerlo dalla «vecchia» politica.

Se Grillo e Casaleggio hanno ragione, del resto, una risposta – e decisiva – non tarderà ad arrivare. Che non lo facciano rivela un pregiudizio o, peggio, una contraddizione fondamentale: che non basti dotarsi della migliore struttura tecnologica disponibile per produrre idee buone abbastanza da guidare un Paese popoloso e complesso come l’Italia (quali ha prodotto finora?), e che perfino loro lo sospettino.

E del resto, al cuore della critica morozoviana sta proprio l’idea che la politica non debba per forza somigliare alle sue riduzioni tecnologiche, e che la ricerca della perfezione algoritmica nella gestione della cosa pubblica possa addirittura diventare controproducente. Si pensi a quanto affermava Grillo il 25 gennaio 2012: «Io con un click, semplicissimo, decido se fare la guerra o non fare la guerra, se uscire dalla Nato, se essere padroni in casa nostra, se avere una sovranità monetaria, una sovranità economica». Che si pensi che decisioni simili, le cui conseguenze in termini diacronici non possono essere certo valutate istantaneamente dagli elettori dell’ipotetica «iperdemocrazia» a Cinque Stelle, si prendano premendo un bottone dovrebbe essere sufficiente a farci considerare con maggiore attenzione se il nuovo che avanza sia davvero migliore del vecchio che vogliamo, e dobbiamo, cambiare.

Note:

1 «Quando c’è un partito si instaura la corruzione. Noi vogliamo una cosa nuova. Una ‘iper-democrazia senza i partiti’ con al centro i cittadini. Metteremo in rete tutto. Anche le discussioni del movimento. È difficilissimo lo so ma noi ci vogliamo riuscire» (Beppe Grillo a Sette del Corriere della Sera, 30 maggio 2012).

2 Natale, P. e Biorcio, R., Politica a 5 Stelle, 2013, Feltrinelli.

3 Si vedano in proposito P. Corbetta, E. Gualmini (a cura di), Il partito di Grillo, 2013, il Mulino; l’analisi dei flussi elettorali per le politiche 2013 dell’Istituto Cattaneo; e lo stesso Politica a 5 Stelle.

4 E anche questa è una forma di quello che in seguito definiremo «soluzionismo».

6 Come ho dimostrato in questa analisi per Valigia Blu: http://www.valigiablu.it/elezioni-2013-non-ha-vinto-internet-abbiamo-perso-noi/

7 http://tg24.sky.it/tg24/economia/mappe/internet_digital_divide_italia.html Da cui si evince, per esempio, che in Friuli il digital divide è alto, ma lo sono anche i consensi di Grillo; in Lombardia basso, così come i consensi di Grillo.

8 «Internet è religione nelle parole del Movimento, eppure la televisione è il primo mezzo usato dai grillini», ha detto Elisabetta Gualmini a Huffington Post Italia, http://www.huffingtonpost.it/2013/01/30/beppe-grillo-ricerca-cattaneo_n_2581558.html. Ne Il partito di Grillo, da lei curato, si legge che la televisione è considerata dal 71% degli elettori del M5S tra i «primi due canali di informazione più utilizzati per intenzione di voto».

9 Diamanti, I., Una mappa della crisi della democrazia rappresentativa, in Comunicazione Politica, XIII, 1, aprile 2013.

10 Si pensi alla piattaforma collaborativa utilizzata da Scelta Civica di Mario Monti, per esempio, cui ha corrisposto una débâcle– e non un successo – elettorale.

11 Si vedano le campagne di attivismo necessarie a contrastare norme liberticide come le statunitensti SOPA e PIPA, le prime versioni del trattato anticontraffazione ACTA, il nuovo sistema di governance inizialmente proposto da alcuni Paesi in occasione dell’ultima conferenza mondiale delle telecomunicazioni (WCIT) e, in Italia, le polemiche infinite sul cosiddetto «comma ammazzablog».

12 Si veda in proposito Steiner, C., Automate This, 2012, Portfolio.

13 Non a caso i due primi capigruppo a Senato e Camera nei video di auto-candidatura al Parlamento sostenevano: «Il nostro ruolo di portavoce dovrebbe essere quello di farci collettori di una intelligenza collettiva» (Vito Crimi). «La Rete e l’intelligenza collettiva che a essa è sottesa devono formare una nuova idea di stato e di cittadinanza» (Roberta Lombardi).

14 Chiusi, F., Se il troll si nasconde in casa tua, pubblicato sui quotidiani locali del gruppo Espresso il 4 aprile 2013.

15 Le élite «casuali» di cui parla Stefano Rodotà in Tecnopolitica (2004, Laterza). Per un approfondimento sul tema, si legga Formenti, C., Cybersoviet, 2008, Raffaello Cortina Editore.

Otto cose sui risultati delle amministrative, dai giornali

Qualche considerazione sulle amministrative, dai giornali di oggi:

1. L’emorragia di centinaia di migliaia di voti nel centrodestra e nel centrosinistra a Roma rispetto al 2008 (fonte: Corriere):

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Significativo si leggano ovunque infografiche per mettere in risalto il confronto tra risultato del M5S alle politiche di febbraio e alle amministrative (ammesso abbia senso), e da nessuna parte sia stato pubblicato lo stesso per Pd e Pdl.

2. Eppure qualcosa da dire ci sarebbe. Il risultato del Pdl? «Arretramento ovunque», scrive Paola Di Caro sempre sul Corriere. Ma non si legge di «flop» del partito di Berlusconi. Forse gli analisti confidano nei ballottaggi (dove peraltro quasi tutti i candidati di centrodestra sono in forte svantaggio).

3. Massimo Franco, sul Corsera, coglie la questione centrale: queste amministrative ripropongono «in termini seri la questione tra democrazia e voto». E l’inadeguatezza di questi partiti a rappresentare i cittadini, compendiata nel dato sull’astensionismo. Il problema, Grillo o non Grillo, resta. Anzi, senza Grillo, come ho scritto ieri, potrebbe perfino peggiorare.

4. Di conseguenza Antonio Padellaro, sul Fatto: «Che cosa abbiano i partiti da festeggiare, resta un mistero». E ricorda, giustamente e contro la vulgata imperante della «vittoria del governo Letta», che Marino – primo a Roma con un risultato inaspettato – da senatore a questo esecutivo non diede nemmeno la fiducia.

5. Anche Massimo Giannini, su Repubblica, evidenzia un problema fondamentale: quando un elettore su due non va a votare, «la crisi della democrazia rappresentativa è compiuta». Non si pensi, insomma, che basti archiviare il M5S (ammesso sia già tempo di farlo) per risolvere (o dissolvere) la questione.

6. E del resto, Giuseppe De Rita (presidente del Censis), sempre su Repubblica invita alla cautela: quello del M5S alle amministrative «è un dato da isolare, non va preso come l’inizio di un declino dei grillini perché alle politiche la rabbia e la capacità attrattiva del leader resteranno fino a quando non si consumerà la leadership di Grillo o il rancore non si incanalerà verso altre direzioni. Ragion per cui bisogna sospendere il giudizio, sarebbe troppo facile dire che sono in declino, aspettiamo e vediamo».

7. Come ricorda Arianna Ciccone, tuttavia, ha ragione Giovanna Cosenza a sostenere che «per il Movimento 5 Stelle il peggio di queste amministrative non sta tanto (paradossalmente) nella perdita di voti rispetto alle politiche (pur notevole), quanto nelle immediate reazioni degli esponenti M5S». Che infatti si sono presentati alla spicciolata: chi a impartire l’ordine di non commentare, chi a rispettarlo (Crimi, che dice di non aver visto i risultati), chi a dire che il risultato è ottimo, quasi da brindare a champagne, chi a battere il petto e a fare mea culpa. Chi a rilasciare interviste durissime (e fotocopia) a Stampa e Repubblica (Zaccagnini), in cui un po’ parlare come l’epurato Favia («la strategia politica è in mano al blog» – e solo ieri, al Corsera, Crimi aveva intimato di non parlare di strategie politiche), un po’ chiedere cambiamenti radicali, a partire dal «portale di democrazia diretta che tarda ad arrivare», e di ritornare ad ascoltare «la gente». Attraverso la «democrazia orizzontale della rete» («la nostra ragione di esistere»), ovvio.

8. Da ultimo, una nota di colore. Per Feltri, il problema di Grillo è Internet. Analisi controcorrente, visto che i più avevano visto nella «Rete» il motivo del successo del M5S. Il clima è già cambiato. Così sul Giornale l’editorialista scrive: «La Rete va bene per prendere i pesci, ma gli elettori non sono tonni». Questo il titolo a supporto:

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Inutile aggiungere che si sta scambiando uno strumento che può avere (e ha) effetti profondi sul modo di fare politica, ben oltre il M5S, con le sorti di un singolo movimento.