IJF 2010 /5 – Fiducia e credibilità nell’era del giornalismo digitale.

Se da un lato internet è l’era della scelta, il tempo della moltiplicazione delle fonti di informazione, dall’altro è anche il tempo in cui il motto “non lo pubblicherebbero se non fosse vero” non vale più. Come muta il rapporto di fiducia tra chi produce notizie e chi ne fruisce? Che ne è della credibilità del giornalismo?

Mark Glaser, direttore esecutivo di Mediashift, propone di “non credere a ciò che hai letto soltanto una volta o che non abbia più di una fonte“. In sostanza, consigliando a ciascun lettore di fare il proprio fact-check ogni volta si sia nel dubbio. Una faticaccia, certo, ma anche una delle grandi e inedite potenzialità del mezzo: “entrare nella notizia”, dialogare davvero con chi produca contenuti, mettendone in questione l’autorità. Che oggi va guadagnata sul campo, trovando le storie giuste – e non promana più da un ipse dixit o dal fatto di lavorare per una certa testata.

Secondo Luca Sofri, da qualche giorno direttore del Post, il modo per creare fiducia e credibilità è fare come il deejay: da un lato operare una buona scelta nella mole sconfinata di notizie possibili, e dall’altro – allo stesso tempo – creare un rapporto intimo, di complicità con la propria community. E questo, aggiunge Glaser, si ottiene anche facendo del giornalista un essere umano, una figura tridimensionale, di cui i lettori possono comprendere le abitudini, la vita quotidiana, gli aspetti che esulano dalla semplice attività professionale – e a questo modo capire le ragioni di ciò che entra e di ciò che non entra nei suoi racconti della realtà. E’ grazie ai social media che ciò è possibile: meglio ricordarlo a chi ancora crede che la Rete sia il luogo dove vero e falso si confondono inestricabilmente, e dove il professionista è indistinguibile dal fanfarone.

Il vero problema, semmai, è che l’era del microblogging e dell’affanno digitale porti a dire get it first piuttosto che get it right. E che dunque il tempo finisca per prevalere, in molti casi, sull’accuratezza, e sulla realtà. Un misfatto che non passa inosservato, tuttavia, se è vero che è proprio la Rete a consentire a moltitudini agguerrite di comuni cittadini di tenere sotto controllo le bugie e le inesattezze di chi produca contenuti – con le esagerazioni “trollesche” di cui sarebbe bene essere tutti a conoscenza. Questa mentalità dell’assedio permanente è un fattore positivo, secondo Glaser: basterebbe che i giornalisti fossero un po’ più umili, e i cittadini un po’ più educati.

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