Qualche riflessione sulla discussa intervista di Laura Boldrini a Repubblica, con l’intento di confutare i principali argomenti a suo favore (in corsivo) letti in queste ore:
1. Non hai capito. Sì, «anarchia del web» era nel titolo e Boldrini non l’ha mai detto (come ha precisato dopo circa un giorno e mezzo di discussioni al riguardo). E sì, Boldrini non ha mai parlato di «leggi speciali» che riguardino l’odio, le minacce e l’istigazione alla violenza in rete. Eppure nell’intervista si legge: «So bene che la questione del controllo del web è delicatissima. Non per questo non dobbiamo porcela». Ancora, che «Se il web è vita reale, e lo è, se produce effetti reali, e li produce, allora non possiamo più considerare meno rilevante quel che accade in Rete rispetto a quel che succede per strada». Se non ho smarrito le facoltà cognitive, significa che bisogna fare qualcosa per meglio controllare il web (nello specifico, i suoi eccessi), differentemente da come si è fatto finora. Ergo: che si deve aprire una riflessione su come farlo. Una delle possibili vie è quella legislativa, non enunciata ma nemmeno esclusa (e del resto come si decide cosa sia eccesso se non per legge?). E infatti poche ore dopo ci ha pensato il presidente del Senato a ventilarla esplicitamente. Se abbiamo male inteso le parole di Boldrini, e io non lo credo, ci è cascato anche Pietro Grasso. Il che è sufficiente per fare della questione «leggi speciali per il web» un tema politico concreto. Tanto è vero che ne stiamo ancora parlando.
2. Ma Boldrini ha smentito: vedi che non hai capito? Sì, Boldrini ha smentito, ma dopo 36 ore in cui il tema è divenuto oggetto di dibattito pubblico. Lasciando campo aperto a dichiarazioni che giova ricordare analiticamente: «Se non si apre una battaglia politica contro gli idioti, i mascalzoni, i fanatici che scrivono sulla rete e agitano gli animi, andremo incontro a seri rischi» (Fabrizio Cicchitto); «(il web) è un catalizzatore assoluto di violenza», dunque bisogna «chiudere i siti offensivi e violenti» (Elsa Fornero); «Serve qualche regola per impedire il festival permanente dell’odio senza controlli o sanzioni» (Maurizio Gasparri); «(…) le peggiori porcherie che sul web si scatenano facilmente considerato l’anonimato» (Alessandra Moretti); «Le leggi che proteggono dal Web… beh, quelle effettivamente le dobbiamo assolutamente ideare» (Pietro Grasso); «È dovere delle istituzioni arginare con iniziative legislative adeguate – che prevedano anche sanzioni – una deriva sessista e razzista che potrebbe alimentare propositi di violenza e sfociare in tragedia» (Luigi Zanda). Non si poteva intervenire prima, stroncando sul nascere idee che potrebbero portare a proposte legislative per limitare l’anonimato o peggio considerare l’uso di Facebook o Twitter una aggravante (concetto espresso in un editoriale sul Corriere di oggi)?
3. Boldrini ha smentito dicendo esplicitamente no a ogni forma di censura. Sì, Boldrini ha smentito dicendo: «Nell’intervista non parlo mai né di anarchia, né di censura, né della necessità di una nuova legge». Bene, ma va considerato che non ricordo un solo caso in cui un censore dica esplicitamente di essere tale – eppure la censura online, a livello globale, cresce da anni. Il problema è che parole ambigue possono – come è successo – dare il là a discussioni il cui esito è considerare il web «anarchia» (come nelle dichiarazioni precedenti) e di conseguenza proporre strette nei fatti (se non nelle intenzioni) censorie.
4. Quindi non si deve affrontare il problema? Ecco, sei il solito difensore del libero web a ogni costo, un difensore ideologico che nuoce al libero web come se non più di quelli che definisci censori. Questo è l’argomento principe che ha serpeggiato negli editoriali in punta di penna, nelle riflessioni argute (quelle di chi ha capito) e nelle conversazioni in cui sono stato coinvolto su Twitter. Ma non serve dire che il problema degli insulti e delle minacce in rete non esiste, per confutare quanto ha detto Boldrini. Ci sono buoni argomenti (li ho elencati qui) per sostenere che le premesse e il ragionamento del presidente della Camera siano errati, e non comportano logicamente in alcun modo non voler affrontare il problema dell’odio in rete. Semplicemente, si vuole dire che – contrariamente a quanto dice Boldrini – consideriamo già reale e virtuale alla stessa stregua, e lo fa anche la legge. Ergo, non c’è bisogno di alcuna legge speciale né di alcun particolare dibattito sul significato culturale di quegli insulti. Che, sia detto chiaramente, vengono dalla classe politica quanto «dalla Rete», c’erano prima della rete e ci saranno dopo la rete, e più semplicemente bisogna abituarsi ad affrontarli a viso aperto (per le minacce e simili c’è la legge). L’alternativa è un web moralizzato, edulcorato, politically correct (neanche ne fossimo privi) che per quanto mi riguarda è molto peggio del magma caotico e spesso insultante di cui siamo parte oggi. Insomma, anche ammesso gli insulti si possano eliminare una volta per tutte da Internet (mettetevi il cuore in pace, non è possibile in una democrazia), contesto l’idea che sia uno stato di cose desiderabile. La rete è nata anche attraverso discussioni a base di trolling, burle, conversazioni sopra le righe e soprattutto è cresciuta e ha prosperato attraverso l’anonimato. Pensare di addomesticare tutto questo solo per non sentirsi offesi o lasciare intatta la propria vanità personale (ribadisco: per le minacce c’è già la legge) è, a mio avviso, semplicemente un modo per rifiutare la realtà, e viverla male, in retroguardia.
5. Che poi, voi ideologizzati difensori del web fate tutta questa caciara e poi non se ne è mai fatto niente: la rete, in Italia, è libera nonostante le vostre grida e l’indignazione. Vero, e in molti casi l’attivismo per la libertà di espressione in rete è stato fatto male, disinformando più che informando, in modo parziale e usando in modo disinvolto parole come «censura», «bavaglio», «pericolo», «vergogna» e simili. È successo per ACTA, per WCIT, in parte perfino per la lotta contro SOPA/PIPA (considerato il baluardo dei risultati prodotti dall’attivismo digitale per il libero web). Ma non è questo il caso. In questo caso ci sono state dichiarazioni vaghe (che cosa propone esattamente chi non propone «leggi speciali»? Non è dato sapere. Chiederlo, deduco, agli occhi dei difensori di Boldrini fa parte del punto 1, non hai capito), errate nelle premesse e pericolose nelle conseguenze. Dirlo non è attivismo: è usare la ragione. Quanto al fatto che la rete sia libera: di nuovo, è vero, ma anche grazie agli sforzi di chi ha cercato di mantenere alta la guardia contro progetti deliranti come il decreto Romani, il comma «ammazzablog», la delibera Agcom (che tra l’altro, sta tornando), l’emendamento D’Alia, i ddl Carlucci, Lussana, Fava e Lauro. E sono solo i primi che mi vengono in mente. Senza gruppi di attivisti mobilitati per fare pressione sulle istituzioni, e riportarle alla ragione, probabilmente alcune di queste norme sarebbero passate. E oggi saremmo un paese meno libero. Demagogia dirlo? Perfetto, sono un demagogo. Tanto più che oggi, grazie al governo Letta, i numeri per far passare quelle «leggi speciali» ci sono. Meglio tacere, tanto non se ne farà niente? Io penso proprio di no.