Del bruciare delle utopie

Nel giorno in cui Grillo rilancia la ‘Democrazia senza partiti’ di Adriano Olivetti, per un attimo mi è venuto in mente quanto fosse impopolare la difesa dei partiti quando l’ho sostenuta con qualche post poco meno di un anno fa, e quanto oggi sia diventata (di nuovo) la retorica dominante – almeno da quanto mi sembra di cogliere su Internet, sui giornali e parlandone con addetti e non. Che la democrazia diretta o partecipata o digitale o liquida sia un ideale lontano dal divenire praticabile in tempi brevi, e soprattutto che potrebbe non essere ideale il suo avverarsi, mi sembra un pensiero più diffuso non solo in chi fino a ieri non ci aveva pensato, ma anche e soprattutto in chi lo sapeva benissimo e per qualche ragione non credeva fosse venuto il momento, o più semplicemente fosse il caso, di tematizzarlo. Oggi non passa giorno senza che la stampa proponga lucide e meno lucide analisi in difesa del sistema attuale (la democrazia rappresentativa e i suoi cardini), che una qualche intervista o spiegazione illustri i meriti dell’articolo 67 della Costituzione, che un qualche editoriale elogi la tattica parlamentare, l’apparato, la conoscenza dei più minuziosi dettagli della vita dei palazzi del potere che, solo fino a qualche mese prima, sembravano dover cadere a pezzi. Questo cambio di direzione, se davvero ci fosse, sarebbe significativo. Non necessariamente positivo, perché – se portato alle estreme conseguenze – è un istinto profondamente conservatore, una reazione a un cambiamento che si è svelato eccessivo (e improvvisato, perfino più di quanto si pensasse) e che tuttavia sembra in atto o sul punto di succedere, nonostante i mille intoppi nel tradursi in realtà (si vedano i tanti piccoli grandi fallimenti del M5S di questi giorni, e al contempo i sondaggi stellari di Grillo). Ma che forse è tale solo perché nella percezione collettiva tutto questo corollario di dubbi è arrivato solo ora, e ancora lo stiamo metabolizzando (quei fallimenti vanno messi ancora in conto). Ancora, un segno non necessariamente positivo perché, nella furia mediatica di attaccare il nuovo che viene (più che legittima, ne sono parte ogni giorno) potremmo finire con il gettare il desiderio, sano, di volerlo lo stesso, il nuovo, anche se sotto forme più tradizionali. Ed è un desiderio che resta (si veda l’entusiasmo per l’elezione di Boldrini e Grasso) nonostante la retorica sembri, come detto, essere cambiata in favore delle strutture dell’esistente (pur rinnovate, pur più simili a ciò che vi si opponeva – si vedano i tanti punti del M5S diventati ormai patrimonio condiviso nelle agende dei partiti). Ecco, il cambio di direzione. Come sempre ci direbbe qualcosa di noi. Ma soprattutto, in definitiva, ci direbbe qualcosa del bruciare delle utopie. E di quanto sia divenuto rapido.

6 pensieri su “Del bruciare delle utopie

  1. Da veterorivoluzionario anarcoide quale mi sento di essere, non mi ci vedo molto nel ruolo di protettore del sistema costituito, tuttavia credo che una migliore progettazione dell’azione destrutturante della fatiscente democrazia rappresentativa verso una nuova non meglio identificata né delineata innocenza del governo direttissima espressione del click pop, non sarebbe stata un’errore e che forse ora i grillini e Grillo in primis dovrebbero ripensare un modo più efficace e ragionato e meno ingenuo ed errabondo di soppiantare (secondo il loro punto di vista, al 100%) l’attuale potentato dirigente.

    mdp

  2. Solo due mesi fa sembrava che gli italiani questa volta ne avessero davvero piene le scatole e invece la politica italiana per partenogenesi si è riprodotta ancora una volta. Non è stato necessario fecondarla con la passione dei cittadini, è bastato il diluvio di dibattiti e ospitate per imprigionare le nostre menti e condurle all’ovile delle urne. La politica ha generato l’antipolitica pur di perpetuarsi. E non è la prima volta. Ora i giornali macinano nel tritacarne l’antipolitica e rilanciano il ruolo positivo e propositivo della politica. Non dimentichiamo che da questo sistema i media ricavano materia prima per generare ascolti e lettori, dando vita a un circolo infernale. Veri e finti giornali di partito, ma anche quotidiani tradizionali, quelli che vogliono influenzare l’agenda del Paese, non raccontare i fatti, si spartiscono un bottino annuo di oltre 100 milioni di euro in contributi pubblici per l’editoria. La politica finanzia l’informazione perché parli della politica. Nel bene o nel male, purché ne parli.

  3. A reblogué ceci sur Diario a tesi and commented:
    Come potrebbe essere per una Fenice, le utopie possono bruciare più volte e più volte rinascere dalle proprie ceneri – magari con una spetto molto diverso rispetto al precedente. Così, il sogno anarchico di uno Stato organicamente coordinato alla società, Stato espressione della società bruciò in gran parte tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Le sue ceneri in parte rinacquero con Adriano Olivetti, persona estremamente complessa e dove si sommavano stimoli politici e intellettuali di provenienza disparata. Oggi Grillo ha soffiato sulle ceneri di Olivetti e dell’anarchismo, ma non è nata una nuova Fenice, ma solo tanto fumo e niente arrosto, solo fuochi d’artificio, solo spettacolo, solo parole.

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