Wikileaks, il giornalismo e i blog.

Uno dei tanti aspetti che si dovranno analizzare con calma, quando la «tempesta sul mondo» (cit.) di Wikileaks si sarà placata, è quanto avrà assottigliato il confine tra le regole del giornalismo tradizionale e quelle del blogging. Un esempio su tutti è il modo in cui La Stampa ha deciso di diffondere l’articolo del New York Times che, verso le 19:20 di domenica, aveva fornito un primo riassunto dei documenti del cablegate. Cioè offrendo una «traduzione a braccio» di Anna Masera, una giornalista “tradizionale” ma molto attenta alle dinamiche della rete. E postando il contenuto del pezzo del quotidiano newyorkese in lingua originale, per poi sostituirlo con la sua versione in italiano (più o meno di senso compiuto) a mano a mano che veniva tradotto.

La traduzione a braccio...

... e gli esiti della traduzione a braccio.

Più in generale, per una volta non c’è stato niente che un giornalista professionista, in una redazione vera e propria, potesse sapere più di un qualunque blogger: i documenti erano tutti lì, disponibili per l’uno e per l’altro. Senza fonti di accesso privilegiate. Senza agenzie che facessero il “lavoro sporco” al proprio posto. Giornalisti e blogger si sono trovati tutti in prima fila a descrivere e commentare ciò che tutto il mondo stava descrivendo e commentando.

Certo, passato il caos sono rientrate le consuete gerarchie: Repubblica.it, ad esempio, in poche ore è riuscito ad assemblare un commento scritto e uno video, una galleria fotografica e una interpretazione di come i files siano stati trafugati. I professionisti hanno potuto mettere in campo la loro professionalità, inquadrando ciò che stavano leggendo nello scenario geopolitico. E, grazie al lavoro di squadra tipico delle redazioni, approfondire tutti gli aspetti rilevanti della vicenda, separando le novità dalle conferme, le notizie dalle curiosità. Il blogger, invece, ha ricominciato a inseguire i professionisti, andare sui siti delle grandi testate per orientarsi in un mondo diventato ormai troppo vasto per le sue sole forze.

Quindi io non so se, come scrive (immagino provocatoriamente) Luca Sofri, I blog hanno vinto. Quel che è certo è che, per un breve momento, hanno potuto sentirsi in una redazione grande quanto il mondo, e far parte di una marea di informazione che ha travolto indistintamente loro e i più navigati professionisti. Forse, in quel momento, hanno provato l’ebbrezza di sentirsi sulla cresta dell’onda, sul campo, inviati nel bel mezzo dell’azione. E gli altri, i professionisti, hanno capito che forse in certe situazioni è lecito bloggare, anche fuori dai confini di un blog. Oltre a cosa si prova a essere come tutti gli altri, tra gli inseguitori.

Poi la marea si è ritirata, e tutto è tornato al suo posto. O forse no.

(Grazie a Pazzo per Repubblica e a Luca Sofri: senza i loro post mi sarei dimenticato di aver salvato quelle immagini, e questo post non sarebbe esistito)

12 pensieri su “Wikileaks, il giornalismo e i blog.

  1. Condivido, in una qualche misura. Percepisco tra i blog e le redazioni professioniste la stessa differenza che passa tra l’open source ed il closed source, la cattedrale ed il bazaar. Formalmente, è soltanto una mera questione di organizzazione: blogger organizzati potrebbero fare come e meglio di una redazione professionista con pari risorse economiche e strumentali.

    E’ secondo me soltanto una questione di tempo, ed anche una questione di voglia, dei blogger, di organizzarsi in gruppi collaborativi piuttosto che continuare a coltivare la propria casupola.

    Insomma, redazioni giornalistiche open vs redazioni giornalistiche closed, questo dovrebbe essere l’obiettivo a lungo termine.

    Ammesso che interessi, cioè. Perché dietro il movimento open source c’è un’ideale, l’ideale che il software debba essere libero… possiamo identificare uno stesso ideale dietro il blogging? Ovvero, c’è un movimento tra i blogger che abbia come ideale di fondo l’informazione libera e dal basso, vista come antagonista a quella chiusa e verticistica?

  2. > Il blogger, invece, ha ricominciato a inseguire i
    > professionisti, andare sui siti delle grandi testate per
    > orientarsi in un mondo diventato ormai troppo vasto per le sue
    > sole forze.

    Secondo me spulciando direttamente nei files del cablegate c’è ancora un bel po’ da trovare. Basta avere 2 neuroni in azione contemporaneamente.

  3. Be’, hanno concordato un calendario tutti insieme, che è cosa ben diversa dal dire che è tenuto per le palle. Nel mio caso si trattava di una notizia minoritaria rispetto a tutto quello che sta uscendo in queste ore, è comprensibile che ci sia bisogno di una coordinazione un tantinello diversa.

    Sta di fatto che siccome i file li ha Wikileaks è quantomeno “improbabile” che possa essere soggetto a diktat da parte di testate esterne a Wikileaks.

  4. Vorrei spiegare la mia scelta di tradurre al volo su LaStampa.it il riassunto fatto dal Nyt dei contenuti rilasciati da Wikileaks per il nostro pubblico che non legge l’inglese, in attesa di avere un articolo redazionale finito da pubblicare. Si, per fortuna grazie a Internet alcune cattive abitudini giornalistiche stanno scomparendo, perchè Internet costringe alla trasparenza sulle fonti e i blog hanno insegnato ai giornalisti l’uso dei link. Io da mo’ pubblico i link delle fonti che cito e che spesso riporto per grandi stralci se non quasi integralmente, quando mi sembra che meritino. Credo che essere trasparenti su Internet paghi: inutile fingere di avere i contenuti (nella fattispecie, nessun giornale italiano li aveva, visto che Wikileaks ha scelto di darli in anteprima a quelle 5 testate straniere selezionate) e poichè il sito di Wikileaks era temporaneamente inaccessibile, mi sembrava corretto che i lettori online sapessero quale fosse la nostra fonte. Ho pubblicato il link all’articolo del Nyt e riportato il testo sul nostro sito e salvavo paragrafo per paragrafo mentre traducevo. Ho fatto quello che qualsiasi blogger avrebbe potuto fare e penso di aver reso un umile ma utile servizio ai lettori, che infatti hanno apprezzato (per esempio con centinaia di “Mi piace” su Facebook). Il fatto che alcuni blogger (e fra questi non annovero questo blog perchè almeno qui si dice qualcosa di importante su come cambia il modo di fare giornalismo, ma mi riferisco alla fonte a cui attinge e cioè PazzoPerRepubblica/CattivaMaestra), anzichè rendersi utili e collaborare, passino il tempo a fare le pulci al lavoro degli altri blogger-giornalisti online, mi fa temere che in Italia ancora siamo fermi alla sterile contrapposizione fra blogger e giornalisti professionisti, che di questi tempi è davvero patetica…

  5. Grazie per la precisazione, Anna (uso il tu, spero mi sia consentito). Trovo molto importante che, come tu dici, non si ricada in una «sterile contrapposizione» tra giornalisti e blogger. Il mio post infatti cercava di far riflettere, con qualche breve e incompleta annotazione, come in realtà i due ruoli siano già più sfumati di quanto sembri, così come rivelato proprio dal caso Wikileaks. Senza “criminalizzare” affatto la tua scelta, che anzi mi è sembrata condivisibile. Solo una cosa: se molti blogger «fanno le pulci» al lavoro dei giornali veri e propri è perché tante, troppe volte sono proprio questi ultimi a “criminalizzare” (a volte anche senza virgolette – penso a un recente commento di Granzotto sul Giornale veramente duro e infelice, oltre che gratuito) il lavoro di chi ha un blog. No a una inutile contrapposizione, dunque, ma da entrambe le parti. Perché non tutti i giornalisti professionisti hanno l’umiltà di confrontarsi direttamente con un blogger, come tu hai fatto. Una prassi che invece, quando ce ne fosse il motivo, è bene si instauri, a mio parere.

  6. dall’articolo di Repubblica:
    “l’unica spiegazione per la fuoriuscita di milioni di documenti riservati e top secret è che qualcuno sia riuscito a violare le difese di uno o più database dove il materiale era custodito”
    e poco oltre:
    “Ma c’è un’altra spiegazione: il tradimento di qualcuno abbastanza in alto che, per calcolo o corruzione, ha voluto rendere noti i documenti riservati.”
    ora, a parte che ci sono 3 righe tra “l’unica spiegazione” e “ma c’è un’altra spiegazione” (…), perché escludere che qualcuno abbia diffuso i dati per spirito di libertà? qualcuno ha parlato di etica hacker, di informazione libera e disponibile per tutti (per i blogger come per i giornalisti professionisti)

  7. Pingback: Giornalismo e la Rinascita | Rinascite

  8. Caro Fabio, se vai sui blog CattivaMaestra e PazzoperRepubblica da dove hai preso la mia videata coi lavori in corso d’opera, e leggi i commenti alla mia replica dell’autore del blog, capisci perché tanti giornalisti ce l’hanno con certi blogger che si divertono ancora a prenderci di mira x provocare una reazione che poi sistematicamente viene giudicata “permalosa” o “stizzita”, mentre e’ solo evidente voglia di fare chiarezza e fastidio x chi fa perdere tempo anziche’ collaborare a migliorarci. Io accetto le critiche da chi stimo, e non faccio di tutti i blogger un fascio: ce ne sono di eroici, ma e’ pieno di pirla, te l’assicuro…

    • Un semplice, cordiale e caloroso complimento a questo blog e ai giornalisti de La Stampa, in quanto nel panorama editoriale nazionale mi sembra uno dei pochissimi giornali che si salvi, chiaramente è solo una opinione personale.

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