Due bugie del Foglio su Assange.

Ci sono due affermazioni molto gravi nel pezzo del Foglio di oggi su Julian Assange intitolato Wikisecrets. La prima è un’accusa al fondatore di WikiLeaks di essere la causa della morte di molti collaboratori afgani degli Stati Uniti. La seconda è l’ipotesi di un suo coinvolgimento nell’aver portato alla luce l’identità di una sua presunta fonte, Bradley Manning.

Andiamo con ordine.

1. Il pezzo ricorda la cena, descritta dai giornalisti del Guardian David Leigh e Luke Harding in Inside Julian Assange’s War on Secrecy, in cui il fondatore di WikiLeaks si sarebbe opposto alla redazione dei documenti sull’Afghanistan. Leigh, presente insieme con il collega Declan Walsh e due reporter dello Spiegel, avrebbe chiesto ad Assange di rimuovere i nomi degli informatori che avrebbero potuto subire ritorsioni da parte dei talebani a causa della pubblicazione dei rapporti riservati. Assange, sprezzante, avrebbe risposto (testuale):

«Well, they’re informants. So, if they get killed, they’ve got it coming to them. They deserve it».

Cioè, tradotto, meritavano di morire. Assange ha sempre negato di aver pronunciato quelle parole, come riporta anche il Foglio, e minacciato ripetutamente di querelare i giornalisti del Guardian. Che continuano, tuttavia, a sostenere la veridicità della ricostruzione.

Ora, che Julian l’abbia detto o meno, il Foglio commenta:

«ma intanto – come ha raccontato Newsweek in un reportage drammatico – molti di quei collaboratori sono morti davvero, a causa del cable di WikiLeaks, a causa della superbia di Assange».

Ho cercato su Newsweek un reportage che sostenesse quanto scritto dal quotidiano di Giuliano Ferrara, ma non ho trovato che due pezzi risalenti rispettivamente al 30 luglio e al 2 agosto 2010. Nel primo si parla dell’annuncio dei talebani di colpire i soggetti rivelati da WikiLeaks; nel secondo, delle violenze e delle minacce compiute dai talebani su afgani che collaborano con gli Stati Uniti. Ma nessuna è riconducibile ai nomi svelati da WikiLeaks: si ipotizzano conseguenze negative per il futuro, non un rapporto di causa ed effetto tra la «superbia di Assange» e la morte di «molti» collaboratori. Tanto è vero che Leigh e Harding scrivono (al Foglio deve essere sfuggito):

«By the end of the year in which WikiLeaks published its huge dump of information, no concrete evidence whatever had surfaced that any informant had suffered actual reprisals» (p.113)

I pezzi di Newsweek sono aggiornati ad agosto 2010. I giornalisti del Guardian parlano di un bilancio a zero vittime a fine 2010. E i morti?

Non solo: Leigh e Harding riportano il parere analogo espresso da un ufficiale Nato a Kabul alla CNN il 17 ottobre:

«There has not been a single case of Afghans needing protection or to be moved because of the leak» (p.113)

A oggi non mi risulta alcuna dichiarazione ufficiale in senso contrario. Nonostante molti media si siano limitati a riportare l’accusa delle autorità statunitensi secondo cui WikiLeaks avrebbe «le mani sporche di sangue», dunque, non c’è alcuna prova che ne dimostri la fondatezza. Come, peraltro, spiega questo post di WL Central del 29 novembre 2010, che mette in file tutte le bugie raccontate dai media mainstream sulla questione della redazione dei documenti sull’Afghanistan.

Il Foglio poi dimentica di menzionare il fatto che Assange, contrariamente a quanto scrive, non è più, se mai lo è stato, per la «trasparenza assoluta». Lo scrivono sempre Leigh e Harding:

«In fairness to Assange, he eventually revisited his view, despite the technical difficulties it posed for WikiLeaks. And by the time the US state department cables were published, five months later, Assange had entirely embraced the logic of redaction, with his role almost that of a mainstream publisher» (p.112).

2. Quanto a Bradley Manning, il Foglio scrive:

«Ancora non è stato chiarito se Assange abbia contribuito o no a svelare l’identità di Manning (molti sostengono che lo abbia sacrificato per salvare se stesso)».

Anche questa affermazione mi sembra lontana da quanto si sa sull’accaduto. L’identità di Manning, infatti, sarebbe stata svelata dallo stesso Manning in una chat (anche questa presunta, fino a prova contraria) con l’ex hacker Adrian Lamo, e non da Assange. È stato Lamo, inoltre, e non Assange ad allertare le autorità dopo aver intrattenuto la chat.

L’idea, che il Foglio attribuisce a «molti» (chi?), che Assange abbia potuto sacrificare Manning per «salvare se stesso», poi, mi giunge nuova. Del resto, è completamente insensata, dato che è proprio attraverso Manning che gli Stati Uniti stanno cercando di estradare Assange in suolo americano e così incriminarlo per spionaggio. Il tentativo è dimostrare che il fondatore di WikiLeaks abbia in qualche modo indotto Manning a trafugare i documenti e consegnarglieli, così da far ricadere l’attività di Assange sotto l’ombrello dell’Espionage Act del 1917.

La circostanza è tutta da provare (del resto tutto è da provare, visto che Manning è detenuto da un anno in assenza di un processo), ma pensare che Assange sia stato talmente miope da ignorare questa sequenza di mosse, una volta venuta allo scoperto la sua principale fonte, è un insulto all’intelligenza sua e dei lettori.

Può darsi le mie fonti siano incomplete: la vicenda è straordinariamente complessa, e le circostanze non sono ancora del tutto chiare né per le conseguenze dei documenti sull’Afghanistan (si potranno valutare compiutamente solo nel medio-lungo termine) né per il caso Manning. Tuttavia, in vicende delicate come questa, la ricerca dell’esattezza e la prudenza diventano fondamentali. Sarebbe bene, dunque, non alimentare falsità che potrebbero avere dolorose conseguenze sulla vita delle persone, anche di quelle che non vanno a genio. Soprattutto, da parte di un giornale «garantista» come il Foglio.

Leggi anche:

Nessun segreto. Guida minima a WikiLeaks. 

4 pensieri su “Due bugie del Foglio su Assange.

  1. Puttanate ce ne dovremo andare dall’Afghanistan come tutti gli altri da 200 anni a sta parte, sconfitti con la coda tra le gambe, gli occidentali faranno un buco nella sabbia, mi sembra di leggere il Deserto dei Tartari di Buzzati, ogni altro commento è superfluo .
    Non serve a nulla pattugliare il nulla, stanno girando a vuoto da 10 anni, Al Qaeda ha già un altro capo, e non si sa chi è ne dove sia, non è cambiata una virgola e Assange non centra un tubo .Una guerra persa in partenza, nei secoli gli occupanti sono stati sempre sconfitti, la storia non ha insegnato nulla, complimenti ai cervelloni del pentagono .

  2. A dire il vero alla pbs Nick Davies, giornalista Guardian, dice che alla cena non c’erano due giornalisti del Guardian e due dello Spiegel, ma del Guardian, dello Spiegel e del NYT.

  3. Interessante, Gino. Sul libro è scritto quello che ho riportato nel pezzo (poi controllo di nuovo). Hai il link dell’intervista di cui parli? Grazie.

    • Devi cercare online l’ultima puntata di Frontlines.
      Dove per “online” intendo limetubo. Dove per “lime” intendo files e per “tubo” intendo tube.

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