I nemici della Rete.

Il documento diffuso in questi giorni da Reporters Without Borders sullo stato della censura (e dunque della libertà di espressione) in Rete è di una importanza tale da meritare un riassunto dettagliato. Per chi volesse leggerlo integralmente, è scaricabile da qui. Tutti gli altri dovranno fidarsi della mia traduzione dall’inglese e delle mie capacità di sintesi.

Nozioni fondamentali

  • La battaglia per la libertà di accesso e di espressione in Rete è oggi combattuta con una forza senza precedenti: da un lato infatti si sta palesando una tendenza sempre più diffusa a intensificare il controllo del web (i Paesi che hanno subito restrizioni sono raddoppiati nell’ultimo anno, passando da 30 a 60); dall’altro la creatività dei cittadini digitali (netizens) consente sempre nuove modalità di mobilitazione per reagire a strette censorie. Il problema è che “il web 2.0 è in rotta di collisione con il controllo 2.0“. 
  • Dall’intensificazione dei controlli non sono immuni nemmeno le democrazie occidentali.
  • Nei regimi autoritari la Rete, nonostante le censure e le intimidazioni, sta diventando sempre più un efficace strumento di espressione del dissenso sociale. In particolare i social networks vengono sempre maggiormente utilizzati come mezzi di protesta e controinformazione.
  • Limitazioni all’accesso o nella libertà di utilizzo di internet dovrebbero venire considerati dalla World Trade Organization un ostacolo al libero scambio commerciale; e, conseguentemente, la WTO dovrebbe esigere dai Paesi incriminati l’abbandono di misure censorie sul web come condicio sine qua non per la piena cittadinanza nel villaggio globale del commercio. 

 

Chi sono i “nemici della Rete”?

Birmania 

  • Non appena nascano tensioni politiche, la velocità di connessione diminuisce sensibilmente. Fino a richiedere due ore per l’invio di una mail e addirittura portare alla sospensione totale del servizio in periodo elettorale.
  • I naviganti vengono considerati “nemici dello Stato“, imprigionati e – in casi estremi – mandati a morte. I proprietari di cyber-cafè devono fornire alla polizia, qualora lo richieda, tutti i dati personali dei clienti, insieme a screenshot delle loro ricerche in Rete effettuati ogni 5 minuti.

Cina

  • A fronte della maggior popolazione online (380 milioni di utenti), la Cina dispone anche del più avanzato sistema di filtraggio del mondo: la Grande Muraglia Elettronica. Che funge da vero e proprio strumento di controllo della stabilità politica del regime, censurando decine di migliaia di siti tramite la combinazione di URL e parole chiave (come “Tienanmen”, “Dalai Lama”, “democrazia” etc.).
  • Durante il ventennale degli eventi di piazza Tienanmen il sistema di oscuramento delle notizie ha funzionato talmente bene che la stragrande maggioranza della gioventù cinese ignora del tutto cosa sia avvenuto nel giugno 1989.
  • Da dicembre 2009 sono previste misure ancora più severe: chiunque voglia aprire un sito deve registrarsi su una “lista bianca“, per evitare di finire sulla “lista nera” su cui cade la mannaia della censura. Da febbraio 2010 ciò significa l’obbligo di presentarsi fisicamente, carta d’identità alla mano, negli uffici del governo cinese.
  • Oltre 40 mila “sentinelle” monitorano costantemente la Rete a caccia di elementi “sovversivi“.
  • Inoltre, commenti critici vengono immediatamente inondati di repliche di regime scritti da utenti (chiamati “il Partito dei 50 centesimi”) pagati dal governo per infiltrare forum di discussione e siti di informazione. Questo sì che è “trolling di regime“.
  • Queste misure limitano non solo i diritti fondamentali dei cittadini cinesi, ma impattano negativamente anche da un punto di vista commerciale. A causa del sistema di filtraggio richiesto per escludere il WiFi, ad esempio, l’iPhone è disponibile in Cina solo da novembre 2009 – due anni dopo il lancio planetario. Facebook è passato da un milione di utenti a inizio 2009 a 14 mila a fine anno, prima di venire definitivamente chiuso.

Cuba

  • La connessione è talmente lenta e costosa che la massa degli utenti è costretta a limitarsi a ricevere e inviare mail. Una connessione vera e propria è possibile solo acquistando al mercato nero le combinazioni username/password che il regime mette a disposizione di poche aziende e individui. 
  • I blogger dissidenti hanno imparato a aggirare le restrizioni, utilizzando le penne USB come moderni samizdat in cui copiare il contenuto dei post, per poi inviarlo via mail da un albergo a un complice residente fuori Cuba che si incarica di pubblicarlo in Rete.
  • A gennaio 2010 uno studente dell’Università de L’Avana è stato espulso per aver creato un gruppo su Facebook che conteneva i verbali di un incontro dell’Unione dei Giovani Comunisti.
  • I “dissidenti” rischiano fino a 20 anni di carcere per post “contro-rivoluzionari”.

Egitto

  • I membri di un gruppo su Facebook, colpevole di aver veicolato informazioni su uno sciopero, sono stati arrestati nell’aprile 2008. Tuttavia, ciò non ha impedito l’organizzarsi della protesta e del dissenso, al punto di fare del 6 aprile, giorno dell’arresto, il “Giorno della Rabbia”.
  • Il primo marzo 2010 un blogger viene giudicato di fronte a una corte marziale – nonostante sia un civile – per alcuni commenti in cui rivelava un caso di nepotismo all’interno dell’esercito egiziano. Verrà rilasciato dopo sei giorni di isolamento, ma non prima di aver postato le sue scuse sul blog. 
  • Il governo può inoltre controllare le mail dei cittadini senza alcun permesso dell’autorità giudiziaria.

Iran

  • La sorveglianza della Rete è centralizzata: gli internet service providers affittano la banda alla Telecommunication Company of Iran, controllata dai Corpi della Guardia Islamica Rivoluzionaria. Sono questi ultimi a operare la censura tramite un software di filtraggio sviluppato nello stesso Iran e secondo i criteri stabiliti da un comitato appositamente creato per “determinare i siti non autorizzati”.
  • Da casa e nei cybercafè è vietato l’accesso alla banda larga. La connessione è ferma a 128 kb/s, anche se in periodi di scontro sociale e politico il traffico si abbassa ulteriormente, fino a 56 kb/s.
  • Nokia-Siemens è sospettata di aver collaborato con il regime iraniano, facilitando la sorveglianza dei dissidenti.
  • Mentre un blogger muore in carcere (in circostanze non chiarite) dopo aver ottenuto 2 anni per aver “insultato i capi della Repubblica Islamica” e 6 mesi per “propaganda anti-governativa”, il regime si appresta a lanciare 10 mila blog con cui inondare la Rete di messaggi filogovernativi e condurre cyber-attacchi ai siti dei ribelli.
  • Che tuttavia non si lasciano intimidire. Nel dicembre 2009 ad esempio a migliaia hanno adottato come immagine del profilo su Facebook un ritratto con vesti femminili e hijab, in segno di solidarietà con un attivista (poi arrestato) che si era travestito da donna per infiltrare la giornata nazionale degli studenti.

Corea del Nord

L’unica presenza sul web consentita nel Paese riguarda siti che tessono le lodi del leader Kim Jong-Il e del padre Kim Il-Sung.

Arabia Saudita

  • Un imponente sistema di filtraggio impedisce l’accesso a siti di natura “moralmente riprovevole“. Tra cui, naturalmente, rientrano quelli che si occupano di diritti umani e della critica al governo.
  • Il regime non nega affatto la messa in atto di tali misure censorie, ma anzi se ne vanta e le ritiene legittime. Al punto di spronare i cittadini a denunciare a loro volta quei siti che riescano a sfuggire alla maglie della censura. Sono stati predisposti così degli appositi moduli tramite la cui compilazione si può chiedere la chiusura di un sito non gradito. Le richieste sono tra le 700 e le 1000 al giorno, e 300 mila indirizzi vengono denunciati dai cittadini ogni anno.
  • Negli internet cafè sono obbligatoriamente installate videocamere nascoste, e i proprietari rischiano il carcere se gli utenti dovessero diffondere, dalle loro postazioni, “informazioni contrarie ai valori del Reame”.
  • La censura ha colpito anche alcuni account Twitter di attivisti per i diritti umani.

Siria

  • I social network sono costantemente monitorati. Amazon e Skype non sono accessibili. YouTube è stato bloccato nel 2007. Facebook è attualmente raggiungibile solo tramite proxy.
  • Alcuni cyber-dissidenti vengono incarcerati a titolo esemplificativo, per incoraggiare l’autocensura in chi avesse in mente di seguirne le orme.
  • Le retate della polizia negli internet cafè sono comuni. Se un utente viene colto in fallo, le autorità gli chiedono gentilmente di prendersi una “pausa caffè” con loro – il che significa che verrà sottoposto a un interrogatorio.

Tunisia

  • Facebook è stato bloccato nell’agosto 2008 e poi ripristinato a seguito di una forte ondata di proteste. A tutt’oggi, ad ogni modo, si verificano strane chiusure di pagine di orientamento critico rispetto al governo (ad esempio, quella che chiedeva la liberazione del giornalista indipendente Taoufik Ben Brik).
  • Le caselle mail sono sotto sorveglianza governativa, e si è costretti ad accedere con lo stesso IP sia da casa che dal posto di lavoro. Negli internet cafè la lista dei siti non accessibili viene affissa alle pareti.

Turkmenistan

  • La connessione a internet è stata concessa a singoli cittadini per la prima volta nel 2008. Fino ad allora riguardava solo una lista selezionata di imprese e suoi impiegati. In ogni caso inviare una mail richiedeva mezz’ora. Oggi è questione di qualche minuto.
  • A parte pochissime aziende e le ambasciate, l’accesso fornito riguarda solamente “Turkmenet“, una versione ultracensurata della Rete sotto stretto controllo governativo.

Uzbekistan

  • Il regime ha lanciato una campagna tramite gli organi di informazione controllati dallo Stato per legittimare e giustificare una pesante censura della Rete agli occhi dell’opinione pubblica. Le critiche contenute sul web sarebbero semplicemente “inaccettabili“.
  • Sebbene la Costituzione  garantisca il libero accesso all’informazione, il principio è ridicolizzato quotidianamente grazie all’applicazione di leggi che sembrano promuovere ben altro. Ad esempio, restrizioni sono giustificate quando proteggano i cittadini dall’ “impatto psicologico di informazioni negative“; dal 2007, poi, i giornalisti sono responsabili della “oggettività” di ciò che pubblicano.

Vietnam

  • Per contrastare il boom dei social media e del citizen journalism, veri e propri luoghi di rifugio per gli attivisti della democrazia, il governo ha da fine 2008 preso la strada della censura. A ottobre viene creato il dipartimento per la Radio, la Televisione e l’Informazione Elettronica del ministero dell’Informazione e delle Comunicazioni, e da allora chi diffonda notizie “ostili” al governo rischia sanzioni. Il monitoraggio della Rete coinvolge anche il ministero della Sicurezza.
  • Nel novembre 2009 il governo ha intimato ai provider di impedire l’accesso a Facebook. La richiesta, seguita da alcuni e ignorata da altri, segue l’utilizzo del social network per denunciare l’arresto di alcuni attivisti che avrebbero, secondo il regime, “messo a rischio la sicurezza nazionale“, ordendo “una campagna insieme a forze reazionarie situate all’estero” per “scalzare il governo scelto dal popolo con l’aiuto di internet“. 

Australia

  • Con la scusa di combattere siti pornografici, l’Australia sta cercando di mettere in piedi un sistema di filtraggio che non ha precedenti nelle democrazie occidentali. Un sito “sgradito” verrebbe chiuso per decisione univoca di una agenzia governativa, l’Autorità Australiana per la Comunicazione e i Media, senza nemmeno passare per il sistema giudiziario. Per non parlare del fatto che la lista dei siti da oscurare verrebbe compilata secondo criteri non pubblici, arbitrariamente scelti dall’authority. Il rischio dunque è che, nonostante il 96% della popolazione sia contrario, si vada ben oltre la censura di indirizzi a chiaro contenuto pornografico.
  • A conferma del pericolo, lo Stato dell’Australia del Sud ha addirittura ottenuto il passaggio di una legge che vieta l’anonimato online durante il periodo elettorale, pena un’ammenda fino a 5 mila dollari.

Bahrain

  • Nel 2009 sono stati adottati due provvedimenti liberticidi: il primo consente la chiusura di un sito su decisione del ministero della Cultura, senza alcun ricorso ai giudici; il secondo obbliga i providers a bloccare indirizzi non solo di natura pornografica, ma anche che incitino alla violenza o all’odio razziale.
  • Dal 2007 tutti i siti, nazionali o meno, che contengano informazioni sugli affari, la politica, la religione del Regno sono soggetti a iscrizione in un registro ministeriale. Una forte protesta, tuttavia, ha reso tale obbligo una facoltà.

Bielorussia

  • A febbraio 2010 il presidente Lukashenko ha firmato un decreto di chiaro stampo censorio che obbliga i provider a identificare e registrare tutti gli accessi. Lo stesso obbligo vale per un anno per i cyber-cafè. Il vero pericolo per la libertà di espressione è tuttavia il “Centro di Analisi” previsto dal decreto presidenziale, che avrà la facoltà di chiedere ai provider la chiusura di un sito entro 24 ore. Gli stessi cittadini potranno sostituirsi all’autorità, e chiedere loro stessi l’intervento oscurante. 
  • La misura sarebbe giustificata dalla “protezione dei diritti dei cittadini“, dalla difesa della moralità e della proprietà intellettuale, e andrebbe adottata allo scopo di  incoraggiare lo sviluppo di internet in quanto business. Inutile aggiungere che la realtà dimostra, semmai, il contrario. Soprattutto perché la norma entrerà in vigore a luglio 2010, appena prima delle elezioni presidenziali.
  • Nonostante il controllo delle pubblicazioni in Rete risalga già all’agosto 2008, la comunità online bielorussa è molto attiva (circa 3 milioni di utenti). Un esempio? La rivolta promossa dai blogger contro l’eliminazione della gratuità dei trasporti pubblici per gli anziani. In un giorno, chiamato Democracy Day, diverse centinaia di giovani hanno offerto ai più attempati concittadini una moneta, per l’occasione mezza annerita, per il viaggio. Il tutto è stato ripreso e trasmesso in Rete.

Eritrea

  • Un Paese quasi del tutto estromesso dal digitale: vi ha accesso solo il 3% della popolazione. Il restante 97% è costretto a sorbirsi la propaganda dei media tradizionali, che demonizzano la Rete. Il governo, infatti, recluta innumerevoli tirapiedi con il solo scopo di farli apparire in televisione e accusare internet di essere un luogo di pornografia, sovversione e anarchia sociale.
  • I naviganti sono talmente impauriti che i due provider nazionali non hanno nemmeno bisogno di censurare i siti dell’opposizione: il terrore di venire arrestati e imprigionati li rende sostanzialmente privi di visitatori

Malaysia

  • Il tentativo è di legittimare l’adozione di un sistema di filtraggio simile a quello cinese. Il pretesto? “In una nazione multiculturale bisogna mantenere l’armonia sociale“. 
  • Il governo nega di voler adottare misure censorie. Ma allo stesso tempo invita i cittadini a non intraprendere “azioni immorali online”.

Russia

  • Fin dal 2000 il governo russo tiene sotto controllo gli scambi via mail e l’attività online degli utenti. Dal 2007, tuttavia, può anche decretare d’imperio la chiusura dei siti di “estremisti“. Una parola che nel codice criminale include “xenofobia e incitamento all’odio attraverso un gruppo sociale”. 
  • La prassi si espleta solitamente con una sola telefonata. E ha riguardato negli ultimi anni praticamente tutti i siti di controinformazione operanti sul territorio. Per Ingushetiyaru.org si è addirittura raggiunti il livello di creare una copia identica del sito, ma controllata dal governo. Molto diffusa anche la prassi dei commentatori stipendiati per difendere posizioni filogovernative.
  • Nonostante Vladimir Putin dichiari che “il 50% dei contenuti online sia di tipo pornografico“, il governo è saldamente presente in Rete; il presidente Medvedev è addirittura una delle “blog star” di RuNet, la versione russa del web.
  • Incitare all’odio”, “sminuire la dignità di un gruppo sociale” (ad esempio, la polizia) o diffondere “false notizie” tramite un post o un commento in Rete può costare anni di persecuzione giudiziaria, libertà vigilata o addirittura l’arresto. Gli stessi rischi si corrono incitando “al rovesciamento dell’ordine politico costituito” o mancando di rispetto alle autorità. 
  • Non è tutto qui: il creatore di Vkontakte, uno dei social networks più popolari del Paese, è stato confinato contro la sua stessa volontà in un ospedale psichiatrico nel marzo 2009, mentre il creatore di Ingushetiyaru.org Magomed Yevlovyev è stato ucciso nell’agosto 2008 mentre era affidato alla custodia degli agenti segreti del ministero dell’Interno.

Corea del Sud

  • Il governo sta cercando di adottare misure liberticide e promuovere l’autocensura degli utenti della Rete dopo aver compreso che l’attivismo online è in grado di spostare un numero significativo di voti. Il tutto nel nome del contrasto alla diffusione di “false notizie”.
  • Nel giugno 2008 il presidente Lee Myung-bak ha dichiarato: “la Rete dovrebbe essere un luogo dove regna la fiducia, invece le forze di internet possono avere risultati venefici piuttosto che benefici“.
  • Il blogger Minerva, a causa di una serie di articoli in cui affrontava il tema del collasso del sistema finanziario, ha rischiato fino a 5 anni di carcere e una multa di oltre 40 mila dollari. Interessante la motivazione dell’accusa (poi respinta): i post avrebbero “messo a repentaglio la credibilità della nazione di fronte alla comunità internazionale“.
  • L’accusa, tuttavia, trova riscontro nell’articolo 44-7 del Network Act, che proibisce lo scambio di informazioni online che compromettano la sicurezza nazionale o siano considerate diffamatorie, anche se vere.

Sri Lanka

  • Poche ore prima della comunicazione dei risultati delle ultime elezioni, i maggiori siti di informazione indipendente sono stati oscurati.
  • La redazione del Lankanews è stata circondata di poliziotti, e il direttore ha ricevuto minacce di morte a gennaio.
  • Il 14 febbraio 2010 il Sunday Times ha rivelato che tecnici informatici del governo cinese visiteranno lo Sri Lanka a marzo, con l’obiettivo di estendere il sistema di filtraggio di Pechino a tutti i siti operanti nel Paese.

Tailandia

  • Visto il tabù che vieta nel Paese di discutere l’operato e la vita della famiglia Reale, il reato di “lesa maestà” viene applicato anche ai contenuti online. E così un sito può venire chiuso per decisione ministeriale qualora ricada in tale fattispecie.
  • Visto che la “lesa maestà” contiene una “minaccia per la sicurezza nazionale”, nel monitoraggio dei contenuti online sono coinvolti anche la polizia e l’esercito. Le azioni “sovversive” verranno represse.
  • Nell’agosto 2007 YouTube ha acconsentito, pur di poter operare sul territorio tailandese, a rimuovere e non ospitare più alcun video che possa “mancare di rispetto” al Re.
  • Grazie al Computer Crime Act dello stesso anno le autorità hanno pieno accesso ai dati personali senza alcun bisogno di autorizzazione giudiziaria.
  • I cittadini sono incoraggiati a denunciare qualunque crimine di “lesa maestà” in cui si imbattano navigando in Rete. Lo hanno fatto un milione e centomila utenti. Del resto, basta comporre l’1111, il numero del gabinetto del Primo Ministro.

Turchia

  • Da maggio 2008 YouTube risulta inaccessibile per aver pubblicato dei video che hanno messo in cattiva luce il fondatore della Repubblica e della nazione turca. YouTube ha acconsensito alla rimozione di alcuni di essi.
  • MySpace è stato invece riaperto nel corso del 2009, dopo aver subito un blocco per “violazione della proprietà intelletuale”.
  • I siti chiusi sono migliaia, e la ratio utilizzata è quella dell’articolo 8 della legge 5651, che prevede la censura di tutti quei siti per cui vi sia un “adeguato sospetto” di ricadere in una lista di otto fattispecie, tra cui anche “crimini contro Ataturk”. Secondo l’articolo seguente, poi, qualunque cittadino che “ritenga che i propri diritti siano stati violati” può richiedere la chiusura di un sito. Anche qui, basta chiamare una apposita hotline. Lo hanno fatto in 80 mila nel maggio 2009 (erano appena 25 mila a ottobre dell’anno precedente).
  • Se ciò non bastasse, nel solo 2009 ci sono state oltre 200 sentenze che hanno imposto il blocco per motivi che vanno ben oltre lo scopo della legge 5651: ad esempio, “insultare l’identità turca”, “diffondere propaganda terroristica” o “incitare all’odio”.

Emirati Arabi Uniti

  • Sebbene le autorità propagandino piena libertà di accesso, si premurano di “guidare” gli utenti nella navigazione. A tal scopo, svariati siti aventi ad oggetto opinioni non ortodosse sull’Islam, critiche all’ordine costituito o di natura politica, sono stati chiusi.
  • Ne ha fatto le spese anche l’azienda Blackberry, che da dicembre 2009 ha dovuto subire pesanti restrizioni nell’accesso alla Rete, per non parlare del tentativo di installare spyware sui propri prodotti
  • La polizia monitora costantemente il web, e si può finire incriminati per aver “violato i valori e i principi familiari“.
  • “Diffamare, insultare e umiliare” una azienda a controllo statale è costato oltre 5 mila dollari di multa al caporedattore di Hetta.com. In realtà si trattava semplicemente dei risultati di una inchiesta che mostrava episodi di corruzione al suo interno.

Se alcuni di questi discorsi vi suonano familiari, non temete: li avete sentiti in Italia.

12 pensieri su “I nemici della Rete.

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  2. Ciao Fabio,
    rapporto interessante, e grazie per il sunto, quante bestialità ci sono dentro però. Mi stupisce che nessuno le faccia notare! Dire che oscurare siti che incitano all’odio razziale (Bahrein mi pare) è un provvedimento liberticida mi pare quantomeno azzardato. Anche la lesa maestà mi pare molto discutibile, in quanti paesi europei perfettamente democratici in realtà i cittandini si guardano bene dal dire male dei propri re e governanti (penso al Regno Unito, ma avrei pronti altri esempi).
    Poi l’accesso a facebook come parametro di libertà… bah, mi permetto di dubitare.
    La cosa buona è che ‘ste cretinate che penso non interessano a nessuno, per cui tanti radicalotti occidental(ist)i possono continuare a strapparsi i capelli perchè nel Congo Belga non si può accedere a youtube o in Liberia non c’è facebook. O magari iscriversi a bel gruppo contro la censura su facebook!
    Saluti

    • Stelvio, infatti il punto non e’ facebook o youtube. Il punto e’ come sfruttare la moralita’ come scusante per poi tappare la bocca a chi e’ critico. Un conto e’ diffamare insultare o incitare alla violenza, un altro e’ usare questi eventi come scusa per poi ammazzare le critiche.

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