Fenomenologia della vita quotidiana al tempo di Twitter

Ci sono quelli che retwittano chi gli fa i complimenti. Quelli che si autotaggano. Quelli che leggono una notizia che hai impiegato tre ore a trovare e invece di retwittarti la twittano come l’avessero scovata loro, senza nemmeno un grazie. Quelli che ti fanno la cronistoria dei loro spostamenti in giro per il mondo, delle loro conferenze, delle loro presentazioni di libri, delle loro interviste, delle loro bellissime serate sociali dal vivo in Rete (Sono all’areoporto di Berlino, mi sto per imbarcare per Barcellona per una conferenza sul sesso degli angeli e i social media – ma sono con X che oggi è raggiante perché aspetta Y che sta per pubblicare un libro sul peso dell’aria e i social media. E stasera pigiama party sul grattacielo più alto della città, pane e nutella per tutti!). Ci sono quelli che ogni tanto scrivono cose interessanti, ma sono talmente infarcite di sé che sei costretto a defollowarli anche se non vorresti – perché tutto sommato le cose che scrivono, ogni tanto, sono interessanti. Ci sono quelli che ti dicono come devi usare Twitter da mane a sera ma quando osi provare a dire come la pensi su come si usa Twitter ti dicono ‘ma non mi starai mica cercando di dire come devo usare Twitter, vero?’ Ci sono gli esperti, per ogni occasione: quelli che danno notizia dell’ultimo trending topic prima degli altri, quelli che scovano la citazione della celebrità appena defunta prima degli altri, quelli che scrivono ‘goooool’ prima degli altri, quelli che danno le notizie prima degli altri – salvo poi scoprire che non erano notizie. Ci sono quelli che ti rispondono solo se hai un certo numero di follower e quelli che non ti rispondono affatto. Quelli che si svegliano all’alba twittando e si addormentano a notte fonda twittando. Quelli che non hanno mai scritto niente in vita loro ma pontificano sullo scrivere. Quelli che quando è il giorno della poesia twittano poesie, quando è il giorno della lentezza giocano amabilmente – sagaci – sul significato della parola lentezza e quando c’è una rivolta in qualche paese dell’Africa sub-sahariana diventano improvvisamente esperti di Africa sub-sahariana. Ci sono quelli che stanno su Twitter ma rimpiangono la carta, e non smettono mai di dirti quanto era bello quando c’era solo la carta. Ci sono quelli che lanciano hashtag per ogni occasione e altri che li riprendono solo se sei quello che lancia hashtag a ogni occasione. Quelli che usano solo locuzioni orrende come engagement brand awareness anche se non ce n’è bisogno. Quelli che livetwittano ogni programma televisivo ma non guardano la televisione. Quelli che non leggono il Giornale e Libero ma si indignano in continuazione per il Giornale e Libero. Quelli che ce l’hanno con lo Scilipoti di turno – e ce n’è sempre uno, ogni giorno.

Ci sono quelli che hanno la pretesa di comporre una fenomenologia della propria vita quotidiana al tempo di Twitter e di farlo in un post scritto male, di getto e dopo 14 ore nette filate di fronte al monitor (anche) a guardare il flusso incessante di tweet che dovrebbero analizzare. Che magari si ritengono osservatori imparziali, e invece hanno le stesse manie – contraddittorie, incostanti – di chi osservano. E che tuttavia continuano a pensare che dopo tante analisi sul significato profondo dei social media, sul loro impatto sul giornalismo la politica la società le rivoluzioni, uno spaccato di vita quotidiana, con tutte le sue miserie e ossessioni, sia salutare. Non per correggere o insegnare, ma per descrivere e, chissà, curare. Una terapia, quasi. Per chi e per cosa, non è dato sapere.

(Grazie a Giuseppe Smorto per lo spunto)

17 pensieri su “Fenomenologia della vita quotidiana al tempo di Twitter

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  2. gran pezzo 🙂
    ve lo giuro, ultimamente da una tipa che si dice “esperta di social media” ho letto un tweet “noto che i miei follower stanno scendendo” oppure “stanno rispondendo di meno”, o qualcosa del genere, condito da un patetico “cos’è? vi sto annoiando? non vi piaccio più? posso sapere perchè?”

    i social network hanno questo di analiticamente interessante, forse anche inquietante. Finora questi atteggiamenti patetici-esibizionisti-violenti-semplicemente stupidi erano confinati nell’aula scolastica, al bar, nelle interazioni personali.
    Vedevi un gruppo di persone non interessanti, non le frequentavi e punto. Al massimo, se eri nello stesso vagone del treno, eri costretto per un po’ ad ascoltare i loro discorsi.
    Ora ti passa tutto sotto agli occhi, nei social network sei in una casa di vetro ed è come stare nella cameretta di uno e vederlo allo specchio gonfiare i muscoli, oppure nell’antro del centro commerciale provarci con una tipa, oppure in seno all’ufficio di lavoro parlare della propria palestra di fronte alla macchinetta del caffè.
    Il problema è che ci sono anche cose interessanti, persone che condividono articoli che non troveresti.
    Ma c’è tanto, tanto “inquinamento”, rumore di fondo.

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  7. Si parla spesso di solitudine ed emersione personale nel mare dei social network. Un comportamento sociale che spinge a presidiare costantemente le piattaforme come twitter, cercando di sbracciarsi per farsi sentire, ma senza ascoltare ed essere ascoltati. Sul web si riversano ambizioni e manie prima riservate solo alla vita quotidiana. Articolo molto simpatico!

  8. Pingback: Livetwittami questo! « Nomfup

  9. mi trovo d’accordo con qualche commento espresso qui. spesso le persone parlano, ma non ascoltano. così ci ritroviamo nel rumore assoluto. del tutto inutile, del tutto dannoso.
    e social media non sono altro che un “nuovo luogo” nel quale capitano le stesse cose che nella vita reale. ci dimentichiamo infatti che altro non sono se non una espressione dell’uomo, semplicemente un altro strumento. ma le persone non sono cambiate. parlano e non ascoltano.

  10. Pingback: rumore « nottebuiasenzaluna

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