Wi Fi: la “liberalizzazione” secondo Maroni.

Dunque, cerchiamo di fare chiarezza. C’è un decreto, il Pisanu, che all’articolo 7 prevede sostanzialmente tre obblighi per chi intenda fornire un collegamento Wi Fi o collegarsi a una rete Wi Fi in Italia: “chiunque intende aprire un pubblico esercizio o un circolo privato di qualsiasi specie, nel quale sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni, anche telematiche”

1 “deve chiederne la licenza al questore” (comma 1)

2. è tenuto a compiere “il monitoraggio delle operazioni dell’utente” e “l’archiviazione dei relativi dati” (comma 4)

3. “nonché le misure di preventiva acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identità” (comma 4)

Come ha puntualizzato Guido Scorza, dei tre soltanto il primo è a scadenza (nel decreto è indicata la data 31 dicembre 2007, poi prorogata di anno in anno). Per gli altri due, e lo afferma il deputato del Pdl Roberto Cassinelli, sarà invece «necessaria una nuova legge che vada a modificare la singola disposizione».

Fatta questa premessa, i fatti di oggi. Il ministro Maroni ha dato il via in consiglio dei ministri alla «liberalizzazione» del Wi Fi in Italia. Il tutto però contemperando «le esigenze della libera diffusione del collegamento Wi Fi con quelle legate alla sicurezza e alle misure antiterrorismo». Che poi sono, queste ultime, le ragioni d’essere originarie dello stesso decreto Pisanu.

Ma che significa, in concreto? Il sito del governo liquida la faccenda in due laconiche righe:

Infine, pur mantenendo adeguati standard di sicurezza, è previsto il superamento delle restrizioni al libero accesso alla rete WiFi.

Maroni, invece, ha affermato genericamente che «si può procedere all’abolizione delle restrizioni del decreto Pisanu». E quindi «dal primo gennaio» sarà introdotta la «liberalizzazione dei collegamenti Wi Fi attraverso gli smartphone o attraverso altri collegamenti offline senza bisogno, come succede oggi, di preventivamente registrarsi con la fotocopia del documento d’identità etc. etc.».

Quindi l’articolo 7 sarà abrogato? Il primo pensiero è quello. Tuttavia non sembra essere quello giusto. Perché in quel caso è difficile immaginare come sia indispensabile attendere fino al primo gennaio. Data, invece, in cui termina la decorrenza della parte a scadenza del decreto. L’idea di Maroni, dunque, sembra più semplicemente quella di non prorogare il decreto. Facendo decadere, in sostanza, il primo obbligo, quello di chiedere la licenza al questore, ma non gli altri due. Un’abrogazione poi mal si concilierebbe con l’idea, indiscussa nella maggioranza (perché poi?), che per tutelare la sicurezza sia indispensabile una qualche forma di identificazione. E, in caso di abrogazione, non ne sarebbe prevista alcuna.

Però per Maroni dal primo gennaio almeno un altro obbligo sarà abolito: quello di identificazione attraverso «documento d’identità». Cioè il terzo. Del secondo, al momento, non si sa nulla. Il che significa che si sta proponendo una «liberalizzazione» senza far capire se qualcuno starà «monitorando» le «operazioni dell’utente» e se, inoltre, ne stia «archiviando i relativi dati».

Ma rimanendo a ciò su cui è stata manifestata una volontà del legislatore di intervenire, come «liberalizzare» il terzo obbligo? Attraverso «smartphone» e altri collegamenti («offline»?). Cioè, tradotto, con una identificazione tramite sms. Come riassume Alessandro Gilioli, «l’utente immette on line il proprio numero di cellulare e a quel punto riceve una password con cui può accedere alla Rete».

Tutto questo sempre che si riesca ad approvare un disegno di legge apposito entro il primo gennaio. Altrimenti resterebbero in vigore, fino all’approvazione, gli obblighi 2 e 3 del decreto Pisanu. Maroni deve darlo per scontato. Anche perché se ciò non dovesse avvenire, oggi avrebbe semplicemente affermato il falso. Dato che, in quel caso, al primo gennaio, per il sesto anno di fila, ci troveremmo ancora con l’obbligo di presentare un documento d’identità per accedere a una rete Wi Fi.

Tirando le somme, si può dire che dei tre obblighi inizialmente previsti oggi abbiamo capito con certezza che ne sarà abolito soltanto uno. Su un secondo abbiamo dedotto che verrà sostituito con un obbligo più “leggero”, anche se nessuno ci ha spiegato perché non possa essere del tutto abolito, come nelle altre democrazie occidentali. Del terzo non abbiamo proprio sentito parlare, e dunque al momento non sappiamo se il governo lo consideri o meno una «restrizione». Un passo verso la direzione giusta, in definitiva, ma timidissimo. E un po’ poco per parlare di Wi Fi libero e di «vittoria della Rete».

Comma “ammazza-blog”: inammissibile lo diciamo noi.

Le buone non sono servite a nulla: l’estensione dell’obbligo di rettifica previsto dalla legge sulla stampa del 1948 ai blog sta per diventare legge. E nella sua versione originaria, che prevede una sanzione fino a 12.500 euro per qualunque gestore di siti informatici “ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica” che non proceda alla rettifica entro 48 ore dalla richiesta e secondo precisi criteri di grafici, di posizionamento e visibilità. Gli emendamenti proposti al testo del comma contenente la norma (il 29 dell’articolo 1), sia quelli abrogativi avanzati dal PD che quelli migliorativi, come quello dell’On. Cassinelli del PDL, sono stati ritenuti infatti “inammissibili” dall’On. Bongiorno. Con un provvedimento che l’avvocato Guido Scorza non esita a definire “lapidario” e “pressoché privo di motivazione”. Ad aggiungere al danno la beffa, tutto questo avviene proprio mentre “cade il bavaglio alla stampa”, grazie anche ai voti di PD e UDC all’emendamento del Governo. Che naturalmente non conteneva alcuna previsione riguardante la Rete. Nella battaglia scatenata dai giornali negli ultimi mesi, del resto, non se ne è mai letto praticamente nulla. Come se la libertà di espressione nel nostro Paese non si misurasse già oggi, e sempre più in futuro, su Internet.

Diciamo “le buone” perché il tentativo, inizialmente, è stato quello di provare a far ragionare il legislatore. Metterlo di fronte ad argomenti, a dati di fatto. Ad esempio che sia errato equiparare un blog qualsiasi a una testata registrata. Che sia errato mettere sullo stesso piano la diffusione professionale e amatoriale di notizie. Che sia inconcepibile pretendere da chiunque apra un sito per esprimere liberamente la propria opinione che non possa assentarsi dalla propria pagina per un fine settimana senza rischiare di trovarsi con migliaia di euro da pagare. Che sia antistorico credere che una legge concepita nel 1948 possa cogliere adeguatamente le dinamiche dell’informazione online. Che sia barbaro disincentivare la libera circolazione delle idee, instillare la paura e il sospetto in chi sfidi il “bavaglio” e fornire un ulteriore strumento intimidatorio ai potenti di turno, che potranno agitare la minaccia della rettifica – con tutto il carrozzone giudiziario che ne consegue – a ogni notizia sgradita. Quanti dei blogger, che per la stragrande maggioranza scrivono senza ricavare un euro dalla loro attività e anzi investendo gran parte del loro tempo libero, saranno disposti ad accollarsi le spese adeguate a dimostrare la fondatezza della propria notizia? Pochi. Gli altri finiranno per piegarsi. Magari dovendosi pure registrarsi presso una qualche “autorità” (il tribunale, l’Agcom o chissà che altro) per rendersi reperibili in caso di guai. Dire la verità, insomma, potrebbe non bastare per dormire sonni tranquilli.
È ora dunque di alzare la voce. Tutti insieme. Perché questo non è il primo tentativo di mettere il “bavaglio” alla Rete, e di certo – visto che sta per avere successo – non sarà l’ultimo. Ieri con l’alibi della sicurezza si è burocratizzato come in nessun Paese libero l’accesso da luoghi pubblici e in mobilità. Oggi con la scusa del rispetto per la verità si è fatto un passo in avanti forse decisivo per approvare l’obbligo di rettifica. Domani potrebbe toccare a filtri preventivi e a nuovi reati creati appositamente per il Web. Per colpire la Rete e in particolare i social networks, un potenziale di dissenso che dà fastidio a chi l’informazione è abituato a controllarla come gli pare e piace. I disegni di legge ci sono già, basta rispolverarli – o creare l’ennesimo scandalo mediatico sulla Rete perché sia legittimo farlo. Adottare misure di questo tipo rappresenta una tendenza in atto in sempre più paesi nel mondo – ma nessuno di questi è un paese democratico. Quello di oggi è un altro piccolo spostamento nella direzione della Cina, della Birmania e dell’Iran. Ma deve essere l’ultimo.
Per questo chiediamo a tutti i blogger, a tutti i lettori, a chiunque abbia a cuore che la Rete rimanga, pur con tutti i suoi difetti, così com’è di dire no. Di dire basta. Prima che venga ridotta a una grande televisione (anche su questo i primi passi sono già stati fatti). Prima che da un luogo di conversazione diventi un megafono. Lo chiediamo anche a tutti quei giornali che finora hanno taciuto l’esistenza di questo comma, evitando perfino di prendere posizione. Come se questo non fosse un dibattito decisivo per il futuro della libertà. Bene, è ora di schierarsi, e di farlo subito, perché il tempo stringe. È ora di dire all’On. Bongiorno e al Parlamento che se c’è qualcosa di “inammissibile” è questa norma. Che non piace all’opposizione e nemmeno – e qui si rasenta il farsesco – a larghi settori della maggioranza, che pure l’ha proposta. Dimostriamo al legislatore che non piace alla Rete e alla società civile. Chiediamogli di abrogare il comma 29. Prima che faccia danni irreparabili.

Nessun obbligo di rettifica per i commenti su Facebook.

L’On. Cassinelli accoglie la mia osservazione e modifica la proposta di emendamento al comma 29 del ddl intercettazioni. Alla lettera a) viene aggiunta la specificazione:

Non possono essere oggetto di richiesta di rettifica i contenuti che, per la loro natura, sono destinati ad un limitato numero di utenti, oppure che si qualificano in concreto quali commenti, corredi o accessori di un diverso contenuto principale.

Nessun obbligo di rettifica per un commento su Facebook, dunque. Inoltre la precisazione sull’inapplicabilità della norma per contenuti “destinati a un numero limitato di utenti” può far sperare nell’esenzione dall’obbligo per i “comuni mortali” che intendano aprire un blog e che dunque abbiano pochi lettori. O meglio: potrebbe essere abbastanza vaga per lasciare uno spiraglio.

Visto che l’obiettivo è ottenere l’abrogazione dell’intero comma almeno de facto, direi che si tratta di un ulteriore passo avanti.

Per chi non avesse seguito il dialogo/dibattito con l’On. Cassinelli, ecco le puntate precedenti:

Comma “ammazza-blog”: la nuova versione dell’emendamento Cassinelli e una critica.

L’On. Roberto Cassinelli si sta davvero adoperando per modificare il testo del comma 29 del ddl intercettazioni, che allo stato attuale viene etichettato – non a torto – “ammazza-blog”. Dopo aver raccolto ulteriori osservazioni ha così deciso di modificare ulteriormente la proposta di emendamento esposta qualche tempo fa. Eccone la versione riveduta e corretta:

Quali le novità, in breve?

  • Il termine di adempimento si dilata ulteriormente a 10 giorni per i siti non registrati (nella versione precedente erano 7, in quella originale 2); tuttavia, non decorre più dal momento della “presa a carico” del gestore del sito, ma da quando vi sia “conoscibilità” della richiesta di rettifica.
  • L’importo della sanzione per i siti non registrati e senza “attività imprenditoriale” che indichino un indirizzo di posta elettronica “certificata” dove far pervenire la richiesta di rettifica scende ancora: da 100 a 500 euro. Se non c’è né l’indirizzo mail valido la sanzione è compresa tra 250 e 2500 euro. Invariata la multa (da 7500 a 12500) per le testate registrate e per chi eserciti “attività imprenditoriale” (e non più “scopo di lucro”) attraverso il sito.
  • Per i blog amatoriali la richiesta di rettifica non è valida “se inoltrata con mezzi per i quali non sia possibile verificarne la ricezione da parte del destinatario”.
  • La nota di rettifica è pubblicata “in calce al contenuto” solo quando “tecnicamente possibile”; in caso contrario, chi pubblica il contenuto “indica il recapito di altro soggetto avente la disponibilità tecnica di procedervi” oppure “pubblica la nota con la stessa visibilità e le stesse caratteristiche grafiche del contenuto a cui si riferisce”.

Fermo restando che continuo a preferire un emendamento di natura abrogativa, si tratta a mio avviso di ulteriori miglioramenti rispetto al testo precedente.

Un unico rilievo, ma sostanziale: inizialmente la norma si applicava ai “siti informatici”, dicitura poi modificata per comprendere le “pagine pubblicate sulla rete Internet”. Ora Cassinelli propone di mutare la definizione riferendosi ai “contenuti pubblicati sulla rete internet”. “Il termine “pagine” – spiega Cassinelli – mal si accosta a quelle realtà nelle quali non pubblichiamo delle pagine, ma semplicemente dei contenuti (pensiamo a Facebook, YouTube, ai commenti su un blog)”. A questo modo si estende esplicitamente l’obbligo di rettifica ai commenti, prima potenzialmente esclusi dalla sfera di applicabilità della norma (sarebbe stato quantomeno discutibile etichettarli come “pagine”).

Tuttavia non mi sembra l’emendamento sia chiaro per i commenti quanto per un post vero e proprio. Se ho ben capito, l’attuale versione dell’emendamento identifica il responsabile in chi pubblica il contenuto – e dunque il commentatore. Corretto: guai se passasse l’idea che il titolare di un blog o di una pagina Facebook debba essere responsabile di tutti i commenti che vi sono inseriti (a questo proposito non mi piace nemmeno che il commentatore abbia la possibilità di indicare il gestore del blog come chi può “tecnicamente” procedere alla rettifica). Ad ogni modo se le cose stanno così il problema diventano la “conoscibilità” dell’obbligo di rettifica e l’essere titolare di un “indirizzo mail certificato” per riceverlo da parte del commentatore – il che mina anche l’applicabilità della clausola di validità della richiesta di rettifica appena introdotta. Senza contare che lo stesso commento riceverebbe una sanzione diversa, in caso di inadempimento, a seconda che sia inserito sul sito del Corriere o su questo blog. Molto spesso, poi, si commenta su svariati siti, pagine Facebook e YouTube ed è impossibile tenere traccia di ciò che si è scritto anche soltanto nell’arco di pochi giorni.

Penso sarebbe dunque meglio ritornare alla più ambigua dicitura “pagine”. A meno che non si voglia meglio definire l’obbligo di rettifica per i commenti. Che, mi pare, sia altro da quello imposto a un vero e proprio “articolo”. Del resto, ipotizzare una sanzione, anche se compresa tra “soli” 100 e 500 euro, per un commento su un social network penso sia francamente indifendibile.

Sempre che non abbia male interpretato il testo dell’emendamento. Attendo chiarimenti dall’On. Cassinelli.

Comma “ammazza-blog”: ecco l’emendamento Cassinelli.

L’On. Roberto Cassinelli ha presentato oggi sul suo blog il testo dell’emendamento che intende proporre per il comma 29 del ddl intercettazioni, che prevede attualmente l’obbligo di rettifica entro 48 ore dalla richiesta per tutti i “siti informatici” pena una multa fino a 12500 euro. Non si tratta di un emendamento soppressivo, come chiesto dal PD e dal sottoscritto, per due ragioni: di merito e di opportunità politica.

Per quanto riguarda il merito, il deputato del PDL non crede che il concetto stesso dell’obbligo di rettifica sia una “porcata”, ma anzi un “elemento di civiltà giuridica“: “Se un qualsiasi blogger scrive sulle proprie pagine che Tizio è un ladro, chi cercherà il nome di Tizio su Google potrebbe finire proprio su quel post in cui si scrive che Tizio un ladro. E se Tizio non è un ladro ma un onesto lavoratore, non vedo perché non possa chiedere al blogger di rettificare”.

Quanto all’opportunità politica, Cassinelli fa un discorso prettamente pragmatico: un emendamento soppressivo avrebbe possibilità pari a zero di venire approvato. Meglio dunque puntare a modificare per quanto possibile il testo esistente con un buon emendamento.

Eccone il testo integrale:

La proposta di emendamento di Cassinelli al comma "ammazza-blog".

L’idea principale è che sia sbagliato equiparare quanto a termini dell’obbligo e relativa sanzione un sito gestito professionalmente e un blog amatoriale. Coerentemente con questa premessa, l’emendamento modifica il comma 29 prevedendo:

  • un termine di 48 ore per la rettifica su testate registrate
  • un termine di 7 giorni per la rettifica su siti non registrati, a decorrere non più dal momento della richiesta ma “dal momento in cui il gestore della pagina, che agisce anche in forma anonima, prende a carico la richiesta di rettifica”.
  • una distinzione anche per quanto riguarda la sanzione amministrativa, che rimane da 7500 a 12500 euro per testate registrate, ma viene ridimensionata sensibilmente (da 250 a 2500 euro) per i siti non registrati – a condizioni che sia indicato un indirizzo e-mail valido.
  • una diversa modalità di presentazione della rettifica, che non deve più rispettare criteri di posizionamento, grafica e visibilità ma basta sia inserita in calce al contenuto contestato.
  • una formulazione più chiara rispetto alla terminologia precedentemente adottata.

Cassinelli ritiene che il suo emendamento costituisca un grosso passo in avanti rispetto all’attuale formulazione del comma, e non si può che essere d’accordo con lui. Ciò su cui invece si potrebbe discutere (e sarebbe stato doveroso farlo, se ce ne fosse stato il tempo) è il merito, cioè l’idea che sia necessario un qualche obbligo di rettifica. Io sono più portato a credere che la Rete, almeno nei casi più eclatanti, sia in grado di “rettificarsi da sé” – pur con tutti i limiti e i distinguo del caso. E penso anche che non sarà un obbligo a disinnescare la malafede di chi voglia sostenere deliberatamente il falso. Da ultimo, l’ipotesi ventilata da Cassinelli (scrivere cioè che Tizio è un ladro quando è in realtà un onesto lavoratore) mi sembra ricadere in una fattispecie esistente, la diffamazione. Non basta?

Comprendo tuttavia e condivido l’approccio pragmatico di Cassinelli: meglio lottare per ciò che si può ottenere, piuttosto che fare crociate ideologiche che poi, nei fatti, non conducano ad alcun risultato. E dunque pur continuando a preferirne l’abrogazione, mi auguro che la proposta di emendamento del comma 29 del deputato del PDL abbia successo. Non è il migliore dei mondi possibili, ma è di certo preferibile a quello che ci prospetta il testo attuale.

PS: Ringrazio pubblicamente per l’ennesima volta Roberto Cassinelli per la disponibilità all’ascolto dimostrata in questa vicenda. Mi chiedo invece che ne sia stato dell’On. Palmieri, responsabile internet del PDL, che non ha mai risposto alla mia richiesta di dialogo nonostante sia l’ “uomo dei social media”. Se c’è, batta un colpo.