Perché i ‘garantisti’ tacciono sulla censura della rete?

Vorrei fare una domanda ai tanti ‘garantisti’ che in questi giorni sono riusciti a trasformare un’inchiesta sul malaffare e la pochezza di una fetta considerevole della nostra classe dirigente nell’ennesimo dibattito sull'(ab)uso delle intercettazioni: perché non avete detto una sola parola contro la delibera Agcom, in dirittura d’arrivo, che rischia di dare a un’autorità amministrativa il potere di far sparire migliaia di siti dal web, in assenza di un qualsiasi reale contraddittorio davanti all’autorità giudiziaria? Sono solo i potenti, e non i comuni cittadini, ad avere diritto a non essere giudicati colpevoli prima che lo abbia stabilito un giudice?

Nell’attesa che politici ed editorialisti insorgano (come no), penso sia il caso di mobilitarsi. E subito: altrimenti tra due-tre settimane potremmo vedere tramutata in realtà quella che i critici (gli «arruffapopolo», a detta dell’Agcom) definiscono «la più forte minaccia alla libertà di espressione in rete che sia mai stata fatta in Italia». 

Sulla delibera Agcom 668/2010: 

13 pensieri su “Perché i ‘garantisti’ tacciono sulla censura della rete?

  1. Dobbiamo fare MOLTO più casino.Bisogna scendere in piazza ,è, l’unico modo di farsi sentire,di avere voce ANCHE per chi non usa lo ” strumento”Internet.Dobbiamo farlo per tutti-E’ una questione di libertà di parola,di azione,di dignità!!!
    Ogni volta si ricomincia da capo,fa nulla.Loro tentano di imbavagliarci,noi lottiamo,non c’è alternativa,questo Governo e TUTTI i loro accoliti devono essere mandati a casa!che vergogna!!!!

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  4. il punto è che firmare petizioni non è sufficiente. Ovviamente l’ho fatto e ne firmerò altre se ce ne saranno in materia. Il problema è che il nostro codice giuridico sulla rete è di un’arretratezza demenziale. Vero che non siamo gli unici, tanti stati come noi non hanno delle definizioni legislative adeguate a una struttura complessa come quella di Internet, però ce ne sono altri che sono aggiornati eccome. E’ pure vero che c’è molta differenza tra ad esempio la legislazione USA e quella che ne so Norvegese o Svizzera sui siti web, e il caos che crea tutto ciò è non indifferente ma occorre agire. Prima a livello nazionale, e poi sarebbe ottimale poter stilare dei codici di valenza ALMENO europea (il coordinamento mondiale pare impossibile persino su cose elementari come i diritti dell’uomo quindi figuriamoci).

    Anzi magari sono io poco aggiornato e ci sono delle direttive europee dettagliate ma vengono ignorati in nome della solità sovranità degli stati membri (LA puttana per eccellenza che invalida in gran parte l’operato del parlamento europeo), su questo chiedo notizia a Fabio Chiusi in quanto pur studente di Comunicazione Digitale in quanto a dirittio dell’universo digitale so ben poco (ad essere proprio onesti c’è stato un corso questo semestre ma non l’ho seguito per più motivi anche se sono intenzionato a recuperarlo, il fatto che fosse relegato alla categoria dei corsi non obbligatori certo non ha incentivato http://edu.jori.org/?page_id=135).

    Tuttavia è cosa certa che finché non avremo una classe politica interessata oltre che a parlare dei problemi di domattina, lavoro,pensioni, imprese, giustizia, piani energetici (sarebbe già un sogno) anche di temi che puntano verso il futuro di una nazione migliore (unioni civili, VERA libertà di informazione, rivisitazione delle regole sui diritti d’autore, il tema appunto del diritto in rete, ammodernamento ed espansione delle infrastrutture per l’accesso a Internet, eccetera) potremo continuare a mobilitarci all’infinito ma prima o poi quello che se ne sbatte e tira dritto lo si trova. E certo a quel punto potremmo ribellarci, scendere in piazza e andare anche oltre se necessario. Ma dover arrivare alla disubbedienza civile in un paese industrializzato e democratico è già di per se una sconfitta per tutti.

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