Venezia 451.

Nella provincia di Venezia c’è un assessore alla Cultura, il Pdl Raffaele Speranzon, che chiede la «rimozione» delle opere letterarie dei firmatari dell’appello per la liberazione di Cesare Battisti da biblioteche comunali e scolastiche. La “brillante” idea di realizzare una forma di «boicottaggio civile» ai danni di scrittori come Valerio Evangelisti, Sandrone Dazieri, Nanni Balestrini, Tiziano Scarpa e molti altri è merito di un semplice cittadino, Roberto Bovo, e di un consigliere comunale, Paride Costa.

«Auspichiamo naturalmente», scrivono in una lettera, «che tale azione non rimanga confinata alla nostra Provincia ma sia di impulso e stimolo per altre province desiderose di far sentire la propria protesta ed indignazione». I due, non paghi, sostengono che la lettera sia stata recapitata anche all’assessore regionale all’Istruzione, Elena Donazzan. Chissà che non la sposi, e decida di far sparire i volumi incriminati dagli scaffali dell’intera regione Veneto. Come se tutti i volumi di tutti i sostenitori della liberazione di Battisti non parlassero che della liberazione di Battisti. Come se la rimozione di quei testi impedisse alle menti dei cittadini di formarsi autonomamente un pensiero sulla vicenda. E, magari, di trovarsi d’accordo con l’assassino.

Ad ogni modo, con la loro richiesta gli estensori della lettera dichiarano di «stare dalla parte dei buoni», cioè di chi condanna il terrorista Battisti. Ed è certamente vero che un assassino vada condannato e, di conseguenza, punito. Ma non è un bel modo di pulirsi la coscienza, quello che lava il sangue facendo sparire la cultura. Un’idea che non ridarà pace alle famiglie delle vittime di Battisti e non contribuirà a ottenere l’estradizione dal Brasile del terrorista. Al più potrà riempire di gioia i nostalgici del nazismo e tutti quei topi da biblioteca che avrebbero sempre voluto vivere per qualche giorno dentro Farenheit 451.

La scala per ora è ridotta, ma il principio è simile a quello che istituisce il reato di opinione, sposta le reponsabilità dell’autore sulla sua opera, politicizza la creatività. Segnali non certo carichi di speranza per chi immagina un futuro senza un livello di tensione sociale che permetta alla violenza di sostituirsi alla ragione nel nome di un’utopia politica.

O forse il vero scopo di quella lettera era consegnarci in poche righe tutta la realtà della decadenza non tanto o non solo della cultura italiana, ma del ruolo che la società civile e la politica le attribuiscono. Non più quello di porre delle sfide al pensiero, ma di moralizzarlo. Non più convivendoci, ma rimuovendola. Da ancella, e non da maestra. Ecco, questa è la cultura che tutti gli Speranzon d’Italia vogliono sugli scaffali: quella dei sopravvissuti al giudizio della politica e della morale. L’idea non è nuova, ma funziona. Si chiama totalitarismo. E, per quanto ricordi, ha fatto più di quattro vittime.

Caccia al Tricolore.

Quando esibire il Tricolore in suolo italiano diventa “provocazione”. E serve la polizia per evitare i tafferugli.

(Fonte: Piero Ricca)

Immagino le repliche: Piero Ricca e i suoi stavano andando di proposito a infilarsi a una festa della Lega Nord. E quindi esigenze di ordine pubblico hanno imposto l’allontanamento. Vero. Ma accettabile?

Brunetta oltre la decenza?

Gianfranco Fini, oggi:

Più nel dettaglio:

Questa storia dell’incompatibilità sta superando il livello della decenza.

Fare il parlamentare e contemporaneamente il sindaco o il presidente di Provincia, significa abusare della fiducia degli italiani.

Si deve cercare di fare poche cose ma bene.

Non esattamente in linea con quanto pensa Brunetta, ministro della Pubblica Amministrazione e candidato sindaco a Venezia:

Né, se per questo, con il parere del premier:

E del ministro del Lavoro:

Almeno l’opposizione aveva utilizzato un po’ di sana ironia emiliana:

Che dite, se l’era dimenticato o è l’ennesima (ma incomprensibile) mossa strategica?

La vergogna delle vergogne.

Il 13 settembre Fabio Vitali, Efrem Bellussi, Giampietro Finazzi e Luca Paris, vestiti di verde durante la festa della Lega Nord a Venezia (“non so se erano simpatizzanti della Lega”, dirà il capogruppo Alberto Mazzonetto), prendono a bastonate, pugni e calci Ervin Doci e un collega. In centro città. In pieno giorno. Dopo aver messo a soqquadro l’intero ristorante “La Bricola” in cui i due lavorano.

Oggi per loro si parla dei reati di lesioni, danneggiamento e furto, con l’aggravante dell’odio razziale. Questo video di YouReporter mostra lo stato in cui versano il volto di Ervin e il mobilio del locale.

Dopo tutti i discorsi sul clima d’odio, su Tartaglia “vicino ad ambienti del social network” (Bruno Vespa), su quelle “pericolose armi in mano a pericolosi delinquenti” (Gabriella Carlucci), sui gruppi “più pericolosi degli anni ’70” (Renato Schifani) e sulla rete “spazio di violenza, di associazioni per delinquere, strumento per spaccio di droga” (Maurizio Gasparri) mi chiedo: quanto è accaduto a Venezia è colpa di Facebook?

Nota a margine: provate a immaginare se invece che alla festa della Lega Nord il pestaggio fosse avvenuto al No Berlusconi Day

Qual è adesso “la vergogna delle vergogne dell’Italia”, onorevole La Russa?