Quando la Rete uccide

«Quando la Rete uccide» (il Fatto di oggi) è sbagliato per tanti, troppi motivi. Perché banalizza e semplifica un gesto assoluto, il suicidio, e le sue ragioni. Perché prosegue e amplifica la retorica – errata – che fa di Internet un soggetto. Perché, di conseguenza, sposta la responsabilità da chi insulta al mezzo su cui insulta (un vizio che va ben oltre il quotidiano di Padellaro e Travaglio, sia chiaro). Perché attribuisce a quegli insulti un ruolo che forse non hanno avuto (si legga il resoconto della parlamentare Pd Anna Paola Concia dopo la visita tra gli ex compagni del quindicenne che si è ucciso). Perché il concetto di ‘suicida ucciso’ ha senso quanto quello di ‘cerchio quadrato’. Perché alimenta le volontà censorie di chi, credendo a quella trasposizione dei fini nel mezzo, ritiene che regolando il mezzo (in questo caso, i social network) si elimini il pericolo. Ed ecco spuntare il sociologo che ammonisce: «I gestori dei social network dovrebbero essere molto più attenti ai contenuti» (sempre il Fatto, p.3). Aprendo la porta a una indebita responsabilizzazione degli intermediari della comunicazione (quella che anche al Fatto hanno chiamato – giustamente – bavaglio quando riguardava le tante recenti proposte liberticide sul web avanzate dai legislatori di tutto il mondo). Che, è conseguenza logica, finirebbero per diventare colpevoli di omesso controllo per qualunque insulto non ‘moderato’ o rimosso. E quindi, è il passo ancora successivo, sceglierebbero l’unica strada possibile: i filtri preventivi. Con questo non si vuole minimizzare o banalizzare il problema del cyber-bullismo, degli insulti che alimentano spirali di disperazione la cui profondità è insondabile a chiunque non ne sia mai stato almeno sedotto. Si vuole semplicemente – e banalmente – dire che «la Rete» non uccide nessuno, che sono le persone a farlo. Che prima di emettere sentenze bisognerebbe cercare, con molta umiltà, di capire. E che, specie in casi delicati come questi, le esigenze giornalistiche dovrebbero lasciare il passo al rispetto per l’umanissima complessità dei fatti.

Le 11 non-domande di Travaglio a Grillo (e quelle che gli avrei fatto io)

Nella lunga intervista sul Fatto Quotidiano di oggi, Marco Travaglio – da sempre attento a bacchettare le non-domande altrui – insieme a diverse domande vere pone a Beppe Grillo anche le seguenti non-domande:

1. Come te lo immagini, il prossimo Parlamento?
2. I partiti preparano le liste civiche-civetta per sfruttare l’onda
3. Il rischio è che fra qualche mese scavalchiate pure il Pd
4. Il premier può benissimo non essere un parlamentare
5. Vedi mai i dibattiti politici in tv?
6. Napolitano mai incontrato?
7. Non temi qualche polpetta avvelenata? Nei cambi di regime, chi rompe lo status quo rischia
8. I politici hanno cominciato a parlare bene di te
9. Berlusconi ti sta studiando
10. Quando ancora pensavi di costringerli ad autoriformarsi, alcuni politici li hai incontrati
11. Nessun politico ha mai pensato di avvicinarti, cooptarti o anche solo di contattarti?

Qualche domanda un po’ meno non-domanda che avrei posto a Grillo:

1. Come mai nel Non-Statuto del Movimento c’è scritto che si possono iscrivere solamente cittadini italiani, una limitazione che non hanno nemmeno Lega Nord e La Destra?
2. E’ vero che Pizzarotti ha telefonato a Casaleggio per chiedere approvazione per la nomina di Tavolazzi, come ha scoperto il Fatto Quotidiano?
3. Che cosa ci dice quella telefonata – mai smentita – del reale peso di Casaleggio nelle decisioni del Movimento?
4. Come mai parli di Internet come strumento di dialogo diretto con i cittadini, come rottura rispetto alla comunicazione unidirezionale della televisione, e non rispondi mai a nessuno, né su Twitter, né su Facebook, né sul blog?
5. Perché la tua propaganda online dovrebbe essere meno unidirezionale di quella che Berlusconi fece attraverso la televisione?
6. Tu vuoi abolire i partiti. Ma con cosa vorresti sostituirli? Davvero pensi basti riempire il Parlamento di liste civiche e «movimenti di gente perbene» (dai No Tav ai referendari) per governare il Paese?
7. Hai mai pensato che il tuo ideale di democrazia diretta attraverso la rete possa essere irrealistico, per non dire pericoloso? Come si prendono decisioni impopolari, nel futuro che immagini? E chi decide quali sono i principi non negoziabili?
8. Sapresti farmi un esempio di un Paese delle dimensioni dell’Italia governato dall’«iperdemocrazia», o «vera democrazia» di cui parli tu?
9. Se «ognuno vale uno», chi o cosa ti conferisce il diritto di revocare l’utilizzo del simbolo del M5S a chi non rispetti le regole del Non-Statuto, a loro volta indiscutibili pena allontanamento? E come si impedisce, anche solo dal punto di vista teorico, che tu possa gestire questo potere decisionale in modo ricattatorio?
10. Come ti è venuto in mente di dare un ‘Passaparola’ a uno come Willer Bordon?
11. Perché non hai detto una parola sulle esternazioni dell’attivista del M5S Francesco Perra contro i matrimoni gay? Se non le hai sentite, te le ricordo: «A quel punto potremo anche sposarci in tre o col proprio animale».

E sono solo le prime che mi vengono in mente. Più importante sapere se Grillo guarda Porta a Porta?

Riassunti dell’ultima di Servizio Pubblico

Riassunto cinico: la Rai fa schifo, rivoglio una trasmissione in Rai. Indignato: Paolo Bonolis, Ficarra e Picone, Massimo Ghini, Simona Ventura, Vittorio Sgarbi, Paolo Mieli. Fogliante: Servizio Pubblico parla di Servizio Pubblico, finalmente un po’ di sincerità nel rito masturbatorio. Dopo un’ora: siamo al coito, o all’estasi in quei comizi coi santoni, in America. Giacobino: «Siamo contro la censura!» Sgarbiano: il problema della politica è la mancanza di pensiero. Narrativo: Sgarbi dice che se Saviano fa un partito vince le elezioni. Poi entra in un delirio in cui Travaglio entra in politica e Santoro in un ministero. Poco prima, Simona Ventura denunciava le «inumane» pressioni politiche subite. Lo slogan: «Viva i vecchi!». O anche: «Fate la rivoluzione!». La battuta: «Lo sperma c’inquina. Er cazzo tombola». Santoriano: siamo più soli di prima. Digitale: il 99% dei nostri fan vuole che continuiamo. Travaglio: non ve lo dirò mai, ma sto al giornalismo come Grillo alla politica. Da sinistra: Monti è cattivo. Da Freccero: non pervenuto. Alla Mieli: «Svegliatevi!». Mio: quanto sono contento di non aver dato quei dieci euro.

Ritorna l’inossidabile bufala dell’emendamento D’Alia.

Visto che la storia ha ricominciato a girare in rete per l’ennesima volta, per l’ennesima volta ribadisco che l’emendamento D’Alia è stato abrogato nell’aprile 2009. Cancellato, morto, sepolto: nessuna «dittatura» è «arrivata su Internet». E se mai dovesse arrivare, non sarebbe per via dell’emendamento D’Alia.

Ho spiegato la vicenda per filo e per segno quando ci cascarono Antonio Di Pietro e Marco Travaglio. Ma, vista l’incredibile tenacia della bufala, repetita iuvant.