La vittoria di Razzi.

Con l’euro sull’orlo del baratro e le nostre tasche sempre più vuote, è comprensibile che le parole di Antonio Razzi, ex Responsabile ora Popolo e Territorio, finiscano per passare in secondo piano. Ma se dalla prossima seduta il deputato dovesse tornare a prendere il suo posto in Aula, a Montecitorio, come se il programma Gli Intoccabili non avesse mai trasmesso un video in cui confessa apertamente (pur se a una telecamera nascosta) che il governo Berlusconi il 14 dicembre 2010 è sopravvissuto perché «per dieci giorni mi fottevano la pensione», sarebbe molto grave.

E qui le «norme», cioè il giudizio della giustizia, contano fino a un certo punto (quale lo stabiliranno i pm di Roma). La questione, semmai, è di legittimità della classe dirigente. In un periodo in cui da ogni parte si sono invocati giustamente tagli ai costi della politica (se non fanno sacrifici loro, come fanno a chiederne a noi?), si è forse sottolineato meno che non c’è riduzione di spesa, non c’è risparmio che possa comprare la fiducia degli elettori nelle Istituzioni. In un momento in cui lo scollamento tra società civile e ceto politico non è forse mai stato così accentuato e visibile, sorprende che la politica possa soprassedere o quasi sulla testimonianza video di un parlamentare che, all’interno dell’Aula, dice chiacchierando amabilmente che «è tutto una tariffa qua, è solo tariffa», che «questi sono tutti malviventi, fanno tutti i cazzi loro», che se possono «ti inculano senza vaselina». E che i cambi di casacca che hanno mantenuto in vita l’agonizzante Berlusconi IV sono stati motivati da «vere e proprie compravendite», come sostengono gli autori dell’inchiesta, all’interno di un «mercato con acquirenti, venditori e intermediari».

Altro che «responsabili». Si dirà che non c’è niente di nuovo, che della statura morale del poco onorevole Razzi e dei suoi affini sapevamo abbondantemente. Vero. Però ora è tutto davanti ai nostri occhi: le immagini del Responsabile che recita la parte pubblica e quelle della sua controparte a microfoni spenti che la contraddice. Allo stesso modo non una parola è giunta dal suo gruppo parlamentare. Nessuna condanna per il collega che ha dimostrato di anteporre i «cazzi suoi» al bene del Paese per cui, almeno formalmente, proprio il suo gruppo era nato. E perfino nell’opinione pubblica, assieme alla rabbia e all’indignazione, sembra avere prevalso un misto di cinismo e rassegnazione che preoccupa. Sì, lo sappiamo – sembrano aver sussurrato gli italiani – e lo sapevamo prima di questo servizio. Tanto non cambia niente, tanto sono tutti uguali.

Populismo, certo, perché non sono tutti uguali (tanto è vero che è stato proprio un deputato, a indossare la telecamera-spia). E perché il valore di affermazioni documentate è di gran lunga superiore (almeno, dovrebbe esserlo) a quello di indiscrezioni, maldicenze e mezze ammissioni. Ma populismo comprensibile, alla luce della bassezza di quanto si è visto. Anche e soprattutto per questo quelle immagini e quelle parole non possono e non devono rimanere senza conseguenze (simboliche – come l’espulsione immediata dal partito – o meno poco importa): perché un Paese che accetta le più spudorate menzogne senza colpo ferire è un Paese che non ha un futuro nel solco della democrazia, ma del totalitarismo. E se lo fa con la complicità e su suggerimento di parte di quella stessa classe dirigente che dovrebbe fare mea culpa ed emendarsi, e invece tace o acconsente, allora c’è il rischio che quel rifiuto generalizzato sembri perfino ragionevole. E allora sì che avrebbe vinto Razzi.

Il servizio su Antonio Razzi.
La mia intervista a Gianluigi Nuzzi, conduttore de Gli Intoccabili, sui parlamentari in vendita.