L’odissea del votante nel regno di Facebookistan

«[…] non c’è dubbio che i nostri nipoti – quando tutta la popolazione sarà online – voteranno così ogni volta, per scegliere qualsiasi cosa (dal sindaco al parlamento).»
Beppe Severgnini 

Quante volte mi sono lamentato di ‘Facebookistan‘, il regime dittatoriale di Mark Zuckerberg che per anni ha imposto modifiche arbitrarie alla gestione dei dati personali di 900 milioni di persone in tutto il mondo. Per questo non appena ho scoperto che il prossimo cambiamento sarebbe stato gestito tramite «un grande esperimento di democrazia» sul social network, mi sono incuriosito. E, smanioso di esercitare il mio diritto di cittadino – il voto – ho raggiunto l’apposita pagina della governance del sito. Certo, Facebook avrebbe potuto comunicarmi l’esistenza dell’iniziativa in qualche modo. Via mail, per esempio, visto che ne invia in ogni occasione. O tramite alcune delle notifiche che periodicamente appaiono in testa al mio profilo o al news feed. Strana mancanza, dato che il voto sarà vincolante solo se espresso da oltre il 30% degli «utenti attivi registrati» (se la percentuale non dovesse essere raggiunta, il valore resta «orientativo»). Ma tant’è: eccomi sulla pagina giusta, pronto a votare.

Il sito mi accoglie con una introduzione che lascia ben sperare:

Ecco, penso, avrei dovuto fare ‘Mi piace’ sulla pagina delle normative del sito Facebook e l’avrei saputo da me. Anzi, penso ancora, ero già iscritto ma nel news feed non mi è apparso niente. Sarà per via della personalizzazione delle notizie che appaiono nel news feed. Non fa niente, proseguiamo.

Dato che non so nulla di quali siano le modifiche su cui sono chiamato a votare, cerco di documentarmi. A destra in alto ci sono le ‘domande frequenti‘. Magari possono aiutarmi. Ma quando si dice che alcune delle modifiche proposte (quelle «apportate per motivi legali e amministrativi») «potrebbero essere incluse nei documenti regolatori indipendentemente dal risultato del voto», la mia confusione – invece di diminuire – aumenta: quali? E perché «potrebbero»? Saperlo è indispensabile, dato che si tratta delle norme che non potrò votare. Non fa niente, proseguiamo.

Un altro dubbio sorge quando i gestori spiegano che potranno votare anche gli utenti che hanno disattivato la piattaforma Facebook. Utenti non attivi, sembrerebbe di capire (potranno accedere al voto «senza doverla riattivare»): quindi il loro voto sarà conteggiato o no per rendere la consultazione vincolante? Non si trattava del 30% degli «utenti attivi registrati»? Il paradosso dei disattivati attivi? Meglio andare oltre, sono sul sito già da dieci minuti e ancora non ho capito niente.

Ah, ho un altro dubbio: «Alla fine del voto, un ente esterno verificherà i risultati». Quale? Mistero.

Decido di passare alle «Informazioni sul voto». Qui si parte bene: «Prendi decisioni informate al momento di votare!». C’è anche il punto esclamativo, vuol dire che ci credono, penso. Si entra nel vivo:

Sembra tutto semplice: ci sono le nuove proposte, la spiegazione delle modifiche e i documenti attualmente in vigore. Ma è cliccando sui link che l’entusiasmo svanisce:

  • Spiegazione delle modiche alla DDR: 47.835 caratteri
  • DDR rivista – 20 aprile 2012: 23.131 caratteri
  • Spiegazione delle modifiche alla Normativa sull’utilizzo dei dati: 19.671 caratteri
  • Normativa sull’utilizzo dei dati proposta – 11 maggio 2012: 61.549 caratteri (in pratica, un romanzo breve con 29 link).

Non ho ancora ‘ripassato’ i documenti esistenti, e secondo Facebook avrei dovuto leggere 152.186 caratteri. O i gestori della piattaforma sono particolarmente ottimisti riguardo alle capacità attentive e alla disponibilità di tempo libero da parte dei loro utenti (quando gli studi sui social media dicono l’esatto contrario), o non hanno alcuna voglia di informarli davvero.

Resta poi il ‘ripasso’ della normativa attuale: altri 31.124 caratteri per la DDR del 26 aprile 2011 più una selva di link e approfondimenti per la ‘Normativa sull’utilizzo dei dati attuale’: il primo ne apre altri cinque, il secondo quattro, il terzo otto, il quarto quattro, il quinto rimanda a ulteriori informazioni (sic) nel «centro per la sicurezza». Poi ci sono ancora «Alcune cose da sapere» (ri-sic) e le «Altre risorse» (6 link). L’esperienza è simile a quella, fantozziana, di essere costretti a dover esprimere un giudizio su una pellicola di Eisenstein.

Ma non demordo. Ormai ho passato circa 30 minuti solo a spulciare tra le opzioni che mi sono offerte per informarmi, e non posso averli buttati via. Clicco su ‘Continua’, fiducioso in una sorta di bignami per gli utenti con poco tempo, o almeno su un quesito che faccia finalmente chiarezza. Invece mi viene chiesto di votare questo:

Quindi l’alternativa è: prendersi un paio di giorni di ferie per capire nel dettaglio quale sia la differenza tra «Documenti proposti» e «Documenti esistenti» o votare a casaccio. Sempre ammesso – ma i dati attuali non fanno ben sperare – che serva a qualcosa, e tutto questo sforzo non finisca semplicemente per dare un parere «orientativo» al dittatore di Facebookistan.

Se questa è la democrazia digitale, penso rassegnato, se questo è il futuro della partecipazione alle decisioni sui nostri dati, ci aspettano sempre più decisioni affidate all’istinto, all’ignoranza o alle pulsioni collettive. Forse è stato davvero un «esperimento», insomma, ma utile solo se si riesce a imparare dal suo fallimento. Una lezione? La trasparenza può finire per scontrarsi con un fattore determinante della nostra era: la scarsità di tempo e attenzione. Chi finga di ignorarlo non ha alcun interesse ad aumentare la democrazia nelle gestione del proprio spazio pubblico, sia esso un social network o uno Stato. Forse è questo il futuro del ‘netizen totale’: finire schiacciato sotto il peso delle informazioni che servono per prendere decisioni informate, concludo, prima di realizzare di aver trascorso su Facebook un’altra quarantina di minuti. E di non aver nemmeno votato.