Su Bersani e i «fascisti del web»

Prima di tutto, sgomberare il campo dal non detto: l’espressione «fascisti del web», criticatissima, è giornalistica, e non di Bersani. Quindi non significa che il web è fatto solo di fascisti, che il web porta a essere fascisti, che il web è altro dalla realtà e tutte le altre cose palesemente errate che comporta quella riduzione giornalistica. Cosa ha detto Bersani? Che a volte corrono sulla rete «linguaggi fascisti», e che sia vero è il segreto di Pulcinella: chiunque abbia osato criticare gli integralisti dell’indignazione – che, sia chiaro, ci sono anche nel Pd, eccome se ci sono – lo sa benissimo, e basta scorrere alcuni commenti su questo blog per rendersene conto. Bersani si è poi lasciato prendere la mano dalla foga del comizio, e se ne è uscito con una frase da bullo di periferia, del tipo «andiamo fuori»: «vengano qui a dircelo, via dalla rete, venite qui a dircelo». Ma anche qui non mi pare ci sia la volontà di innalzare un muro tra reale (educato) e virtuale (maleducato), quanto piuttosto di svelare l’altro segreto di Pulcinella, e cioè che fare la voce grossa su Facebook è molto più semplice che farla de visu – per non parlare del fare politica, che in sostanza è il succo dell’intervento di Bersani, se non l’ho capito male. Che poi grillini e dipietristi si sentano chiamati in causa, che il Fatto scomodi la balla del «pensiero unico» (quando solo a sinistra ce ne sono almeno tre o quattro, anche sulla carta stampata), che insomma tanti si sentano offesi è normale conseguenza della traduzione giornalistica del messaggio di Bersani. Che, letto di fretta e dal cellulare ieri sera, aveva mandato su tutte le furie anche me. Perché avrebbe confuso un preciso fenomeno storico – il fascismo – con un banale insieme di insulti e intransigenza; perché avrebbe usato lo stratagemma tipico del berlusconismo («comunisti!») alla rovescia; perché, appunto, avrebbe comportato l’ennesimo endorsement di un politico di primo piano della falsa dicotomia tra realtà e Internet. A sentire le parole di Bersani, invece, queste accuse cadono. Resta la strategia non proprio memorabile di attaccare potenziali elettori e alleati passati, presenti e (chissà) futuri proprio quando li si dovrebbe sedurre – magari chiudendo un occhio – per evitare di essere costretti ricorrere alla ‘grande coalizione’. E di attaccarli ricorrendo al peggior gergo della politica umorale di cui, Bersani lo sa bene, proprio gli integralisti dell’indignazione sono maestri. Un errore non sociologico ma politico, insomma. A meno che l’ottica, al di là delle dichiarazioni, sia proprio quella della ‘grande coalizione’.

L’ennesimo ritorno del comma ‘ammazza-blog’

Ha ragione Di Pietro. Un articolo del contestatissimo testo originario del ddl Alfano (il 28, poi diventato 29) sulle intercettazioni è riapparso (identico, anche se ora è il 25) nella bozza di riforma della materia del ministro Severino. E’ il cosiddetto ‘comma ammazza-blog’, di cui mi sono ripetutamente occupato in passato (qui, qui, qui e qui, per esempio).

Il testo del Ddl Alfano:

28. All’articolo 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

«a) dopo il terzo comma è inserito il seguente: «Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell’articolo 32 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono»;

b) al quarto comma, dopo le parole: «devono essere pubblicate» sono inserite le seguenti: «, senza commento,»;

c) dopo il quarto comma è inserito il seguente: «Per la stampa non periodica l’autore dello scritto, ovvero i soggetti di cui all’articolo 57-bis del codice penale, provvedono, su richiesta della persona offesa, alla pubblicazione, a proprie cura e spese su non più di due quotidiani a tiratura nazionale indicati dalla stessa, delle dichiarazioni o delle rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto di rilievo penale. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata, entro sette giorni dalla richiesta, con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l’ha determinata»;

d) al quinto comma, le parole: «trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma,» sono sostituite dalle seguenti: «trascorso il termine di cui al secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, e sesto comma» e le parole: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma» sono sostituite dalle seguenti: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, quinto e sesto comma»;

e) dopo il quinto comma è inserito il seguente: «Della stessa procedura può avvalersi l’autore dell’offesa, qualora il direttore responsabile del giornale o del periodico, il responsabile della trasmissione radiofonica, televisiva o delle trasmissioni informatiche o telematiche non pubblichino la smentita o la rettifica richiesta».

Il testo della bozza Severino (al 13 aprile 2012):

25. All’articolo 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e successive modificazioni, sono  apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il terzo comma è inserito il seguente: «Per le trasmissioni radiofoniche  o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi  dell’articolo 32 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, ivi  compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla  richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di  accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono»;

b) al quarto comma, dopo le parole: «devono essere pubblicate» sono inserite le  seguenti: «, senza commento, »;

c) dopo il quarto comma è inserito il seguente: «Per la stampa non periodica  l’autore dello scritto, ovvero i soggetti di cui all’articolo 57-bis del codice  penale, provvedono, su richiesta della persona offesa, alla pubblicazione, a  proprie cura e spese su non più di due quotidiani a tiratura nazionale indicati  dalla stessa, delle dichiarazioni o delle rettifiche dei soggetti di cui siano  state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o  affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità,  purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto di rilievo  penale. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata, entro sette giorni  dalla richiesta, con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre  fare chiaro riferimento allo scritto che l’ha determinata»;

d) al quinto comma, le parole: «trascorso il termine di cui al secondo e terzo  comma» sono sostituite dalle seguenti: «trascorso il termine di cui al  secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, ivi compresi i  giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, e sesto comma» e le  parole: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto  comma» sono sostituite dalle seguenti: «in violazione di quanto disposto dal  secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, ivi compresi i  giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, quinto e sesto
comma»; 

e) dopo il quinto comma è inserito il seguente: «Della stessa procedura può  avvalersi l’autore dell’offesa, qualora il direttore responsabile del giornale o  del periodico, il responsabile della trasmissione radiofonica, televisiva, o  delle trasmissioni informatiche o telematiche, ivi compresi i giornali  quotidiani e periodici diffusi per via telematica, non pubblichino la smentita  o la rettifica richiesta».

Tradotto dal legalese: qualcuno (chi?) sta cercando di far rientrare il comma ‘ammazza-blog’ dalla finestra, dopo che – tramite faticose battaglie – era stato buttato fuori dalla porta.

Ora, le cose sono due: o c’è una precisa volontà politica, e allora (quel) qualcuno dovrebbe prendersi la responsabilità di esprimerla apertamente (invece di infilare il comma di nascosto in una legge sulle intercettazioni); o questa volontà politica non c’è. E allora sarebbe il caso di mettere fine una volta per tutte a questo progetto di legge insensato, nocivo e retrogrado.

Consulta, Di Pietro come Berlusconi.

Questa la reazione di Antonio Di Pietro a caldo, su Facebook, dopo la notizia della bocciatura da parte della Consulta dei referendum per cancellare l’attuale legge elettorale e ritornare al Mattarellum. Una sentenza emessa, sia chiaro, senza essere a conoscenza delle motivazioni (giungeranno entro 20 giorni). Tre gli elementi fondamentali:

– Lo spauracchio del ‘regime’ («una pericolosa deriva antidemocratica»)
– Il parallelo con un’ideologia autoritaria («Manca solo l’olio di ricino»)
– La chiamata a «scendere nelle piazze».

In sostanza, gli stessi elementi su cui fece leva Silvio Berlusconi il 7 ottobre 2009, sempre a caldo e senza conoscerne le motivazioni, quando la Consulta bocciò il lodo Alfano:

– Lo spauracchio del ‘regime’ e il parallelo con un’ideologia autoritaria (comunista, in questo caso):

(questi commenti dei lettori del Giornale fanno capire che aria tirasse tra i berluscones all’epoca: «la Consulta è antidemocratica»)

– La chiamata a scendere nelle piazze:

Allora Di Pietro replicò dicendo che Berlusconi era «letteralmente matto, se non da legare, da rimandare a casa». E sostenendo che il suo attacco alla Consulta dimostrava «non solo che non è uomo di governo, ma che non ha rispetto per le istituzioni».

Oggi, invece, fa come lui. Il che rende applicabili a Di Pietro i giudizi di Di Pietro.

Update (15.16): Oggi come allora il commento a caldo ha causato una replica stizzita del Colle.

Indicazione terapeutica.

Referto del 18 ottobre:

1. Antonio Di Pietro in circa 24 ore è riuscito ad annunciare:

«Si deve tornare alla legge Reale. Anzi bisogna fare la ‘legge Reale 2’»; «Oggi ho formulato una serie di proposte che qualcuno ha chiamato come proposta Reale 2, una nuova legge Reale»; «Non vogliamo riproporre la legge Reale»; «Mettiamo da parte e buttiamo al cesso la legge Reale».

Insomma, Di Pietro ha dato origine alla polemica ipotizzando di riesumare la legge Reale o a una sua variante, ma allo stesso tempo non ha «alcuna intenzione di riesumarla», come vorrebbero i «molti improvvisati commentatori» (non lui) che ne «hanno parlato». Maroni nel dubbio l’ha preso sul serio, e ora la prossima manifestazione sembrerà un incontro tra fan di Minority Report.

2. Silvio Berlusconi, dopo aver affermato

«In settimana esamineremo le misure per la crescita e lo sviluppo e con questo decreto dimostreremo che il governo sta sempre lavorando sodo per l’Italia» (25 settembre); «Governo e maggioranza stanno lavorando a un nuovo decreto legge, con misure concrete ed efficaci che ridiano fiducia ai cittadini, alle famiglie e alle imprese. Lo presenteremo entro la metà di questo mese, come ci siamo impegnati a fare» (3 ottobre); il decreto sarà pronto «entro metà mese» (7 ottobre)

ha preso tempo dicendo che «è in corso una riflessione», che «i soldi non ci sono», che «dobbiamo inventarci qualcosa» e che, poi, tutto sommato, «non c’è fretta». Mica come ci avevano fatto credere fino all’altro ieri (coordinatore del provvedimento compreso): quando dicevano che si trattasse di un pacchetto da approvare «tempestivamente», perché urgente, scherzavano.

3. Margherita Boniver, parlamentare del Pdl e membro della commissione Schengen, ha proposto una soluzione per uscire rapidamente dall’impasse:

«Se il governo non riesce a trovare risorse finanziarie per il dl sviluppo stampasse denaro. Dopo tutto per usare un paradosso battere conio era una delle prerogative di uno Stato che si rispetti».

Peccato il governo non possa farlo, perché l’autorità spetta alla Banca centrale europea. Dettagli.

4. Umberto Bossi, ha dato dello «stronzo» a Flavio Tosi, ma senza che ciò dimostri che c’è alcuna divisione nella Lega. Anzi, lo «stronzo» al sindaco di Verona, maroniano, per il senatur (deduco) non fa altro che dimostrare che i giornalisti che parlavano di fratture nel partito sono davvero degli stronzi e meritano di essere menati. Loro e quegli stronzi che hanno ripreso il congresso di Varese dove è andato tutto bene, e il segretario provinciale è stato nominato per acclamazione (ma senza acclamanti).

Indicazione terapeutica: 

Per mantenere fiducia in un 19 ottobre migliore, ripetere cento volte (a seconda della propria appartenenza politica) il governo ha i numeri, andiamo avanti fino al 2013 oppure l’alternativa c’è ed è chiara e solida

Ritorna l’inossidabile bufala dell’emendamento D’Alia.

Visto che la storia ha ricominciato a girare in rete per l’ennesima volta, per l’ennesima volta ribadisco che l’emendamento D’Alia è stato abrogato nell’aprile 2009. Cancellato, morto, sepolto: nessuna «dittatura» è «arrivata su Internet». E se mai dovesse arrivare, non sarebbe per via dell’emendamento D’Alia.

Ho spiegato la vicenda per filo e per segno quando ci cascarono Antonio Di Pietro e Marco Travaglio. Ma, vista l’incredibile tenacia della bufala, repetita iuvant.