La patologia

«Il Parlamento è libero, in ogni momento, di votare la sfiducia al governo Letta», scrive Giorgio Napolitano al Corriere della Sera. E, formalmente, è vero. Ma solo formalmente. Perché il caso Ablyazov dimostra che, nei fatti, non è in grado di sfiduciare liberamente nemmeno un suo ministro. Proprio perché se si sfiduciava lui, Alfano, si sfiduciava Letta. E se si sfiduciava Letta… Beh, non si può sfiduciare Letta. Perché non ci sono alternative (e lo ribadisce anche Napolitano, oggi, quando ricorda che dal fallimento dell’incarico a Bersani non è cambiato nulla); perché siamo in emergenza; perché questo governo, come scrive Ferruccio De Bortoli, è «tanto fragile quanto necessario».

Un dato di natura, più che una scelta politica, verrebbe da dire. Anche perché la scelta politica l’ha compiuta la politica, non gli italiani. Che avevano votato due schieramenti il cui mantra in campagna elettorale era l’opposizione reciproca netta, assoluta, inconciliabile. E che oggi se li ritrovano al governo insieme, con gli esiti sotto gli occhi di tutti: i partiti che, prima delle «larghe intese», litigavano continuano – chi l’avrebbe detto! – a litigare. E invece di decidere rimandano.

Poco male, visto come decidono (si veda il penoso balletto sul Wi-Fi di questi giorni) e come non decidono (si cambia il Porcellum o no?). Il punto è che l’emergenza non può durare in eterno. Il Paese la sta vivendo sulla sua pelle dall’insediamento di Monti, a novembre 2011: se prima il cittadino contava poco o nulla, oggi – nell’era della retorica della democrazia digitale e della partecipazione «dal basso» – conta ancora meno, zero assoluto. Napolitano lo dice chiaramente: in caso di crisi resta «il ricorso al voto popolare». Ma «di azzardi la democrazia italiana ne ha vissuti già troppi». E, visto che si tratta di evitare «un’ulteriore destabilizzazione e incertezza del quadro politico-istituzionale», niente elezioni in caso di crisi – dice in sostanza il presidente. Del resto, «Considero il frequente e facile ricorso a elezioni politiche anticipate come una delle più dannose patologie italiane».

Chissà se Napolitano sospetta che le elezioni anticipate siano l’effetto, e non la causa della patologia. Che la patologia sia la composizione di governi che litigano invece di governare, che siano dello stesso schieramento o di tutti gli schieramenti. E che le elezioni anticipate non siano che la conseguenza di uomini politici incapaci di guardare al bene collettivo e a obiettivi di medio-lungo termine, di abili manipolatori del nulla il cui fine principale sembra solleticare – istante dopo istante – la pancia del loro elettorato per ottenerne il consenso hic et nunc. Solo per poi piegarsi ai «diktat» dell’Europa, che ci umiliano ma quantomeno hanno il pregio di riportarci a questioni sostanziali – altro che IMU.

Sospetto che lo sospetti, ma che non possa dire nulla al riguardo.

Vorrei solo porre una questione: siamo proprio sicuri che questa «pacificazione» artificiale, questa mascherata che ogni giorno si leva la maschera e ogni giorno vede levarsi le grida di chi vorrebbe – responsabilmente – rimetterla, procuri meno instabilità istituzionale e sociale dell’odiato ricorso alle elezioni anticipate? È con le «larghe intese» che non si sta decidendo nulla, che la politica non sta pagando per le sue colpe (vedi alla voce Alfano), che le decisioni (consultazioni online o meno) vengono prese in splendida solitudine dal Palazzo, che il capo dello Stato è costretto a interventi politici per reggere la baracca, che il conflitto tra giustizia e politica è ai massimi livelli (al punto che, secondo il Pdl, la prima dovrebbe piegarsi alle esigenze della seconda – vedi alla data 30 luglio), che si sente parlare di rischio rivolta (lo dice Casaleggio, Delrio e Caldoro – da opposti schieramenti – concordano), che i conti sono in ordine (siamo di nuovo tra i virtuosi, dice l’Europa) ma non lo sono affatto (il debito continua a salire).

Tutto come prima? Appunto. E allora dove sta la rassicurazione, dove la differenza sostanziale tra emergenza e normalità? Se la patologia da sconfiggere sono governi che non governano, e non scongiurare all’infinito le elezioni anticipate, l’esistenza del governo Letta rischia di essere non una garanzia di stabilità e pace sociale, ma il suo contrario. Non la cura, ma il perpetuarsi della malattia. Con un’aggravante rispetto a prima: la retorica del ricovero d’urgenza del paziente, del suo dover subire la cura senza poter opporre alcuna obiezione. Tutto per salvargli la vita. E se i dati dicono invece che ne si sta accelerando il decesso, si può sempre dire che non c’erano alternative. Il paziente muore, ma il medico è assolto.

Strano modo di salvare una democrazia, ridurla a uno stato d’eccezione obbligato.

11 pensieri su “La patologia

  1. Casaleggio è proprio l’ultimo che dovrebbe permettersi di parlare…..avevano la possibilità di cambiare le cose se volevano……ma no….molto più semplice restare a guardare e dire contro tutto e tutti senza materialmente fare un c…….!!!!!!

  2. D’accordo col Nichilista; ma come si fa a farle capire queste cose a “re Giorgio” e a tutti i sostenitori diretti (leggi PD e Scelta Civica oltre all’ovvio beneficiario Berlusconi) e indiretti (leggi M5S) delle “larghe intese”?
    A chi spetta esporsi e mettersi in campo per dimostrare che un’alternativa ci può essere?

  3. quello che scrive è a prima vista condivisibile, ma visto il risultato delle passate consultazioni , e non mi sembra che oggi se si tornasse a votare le cose cambierebbero di molto.non riesco a vedere una soluzione. e Lei ?

  4. A mio modesto parere esiste solo una strada. 1 presa di coscienza di quanto sopra e 2 sciopero fiscale per comunicarlo in maniera non violenta a chi ci governa (che ha, già oggi, tutti gli strumenti intellettuali e giuridici per operare)

  5. Concordo in pieno. Tuttavia quando sento parlare di elezioni anticipate non posso fare a meno di chiedermi: tra chi sceglierem(m)o ? Perché il problema di fondo, in caso di elezioni, è che con ogni probabilità rivedremmo le stesse facce, sentiremmo le stesse promesse, saremmo costretti a rivotare sostanzialmente gli stessi partiti (magari in alcuni casi con nomi diversi, ma sempre composti dalle stesse colpevili cariatidi) – o a non votare.

    Non riesco ad immaginare una soluzinoe a questo problema. Ma il pericolo che nemmeno le elezioni siano in grado di migliorare di tanto così la politica italiana è secondo me concreto.

  6. “dove sta la rassicurazione, dove la differenza sostanziale tra emergenza e normalità?”

    Che ci sono loro alle leve. Tutto qua.

    Michele Gardini

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