E’ facile leggere The Dark Knight Rises come un film politico. E, a prescindere dalle dichiarazioni del regista, Cristopher Nolan, lo è. Ma ciò non significa che sia un film che intende dimostrare una tesi politica: piuttosto, Nolan gioca con gli elementi dell’attualità politica come fossero mattoni intercambiabili di una realtà il cui esito, mentre scorrono i titoli di coda, sia tenere lo spettatore incollato alla poltrona in un misto di pura azione, sentimenti primari – odio, amore, amicizia, rimorso – e riedizioni in salsa Occupy del solito, immancabile manicheismo da supereroe: da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. Un obiettivo molto pragmatico, se si vuole, che Nolan centra perfettamente: in sala il tempo vola. Il punto è che se ci riesce è anche per la manipolazione, furba, di ciò che ci circonda. Perché è quella manipolazione che rende Gotham terribilmente familiare. E che ci fa riflettere, forse più di quanto Nolan stesso immaginasse, sui movimenti sociali contemporanei. Sì, ci sono evidenti riferimenti all’insofferenza popolare per la finanza e, più in generale, i privilegi dell’1%. Quando Bane, il cattivo di turno, inizia il suo piano per lo sterminio dall’irruzione nell’equivalente gothamiano di Wall Street; quando, nella sua menzogna, Bruce Wayne perde tutto giocando d’azzardo sui futures; quando due operatori di Borsa si chiedono il motivo di una vendita allo scoperto sulle azioni di Wayne: «Perché ho tirato la monetina», spiega uno all’altro, come riassumendo tutta la distanza tra etica ed economia finanziaria. C’è anche la retorica della rivolta per la liberazione degli oppressi e del popolo. Ma è la retorica di un dittatore sanguinario, di uno sterminatore di massa, non quella di un paradossale leader di un movimento orizzontale nato ‘dal basso’. Una menzogna, insomma, evidente da subito nel film. E nelle parole di Bane: «Noi non siamo qui come conquistatori, ma come liberatori», dice entrando nella scena pubblica. Poi invita i cittadini di Gotham a «prendere il controllo della vostra città». E a diventare protagonisti di quella che definisce, anche qui riecheggiando furbescamente le utopie indignate, «la prossima era della civiltà Occidentale». Ma gli «oppressi», lo specifica immediatamente, più che i comuni cittadini sono i prigionieri tenuti in prigione grazie al «decreto Dent»; cioè grazie a quella che a tutti gli effetti è una legge speciale che attribuisce poteri straordinari alle autorità nel nome della sicurezza di Gotham. E che si regge a sua volta su una menzogna, del tutto speculare a quella di Bane: il mito della purezza di Harvey Dent, creato dall’ispettore di polizia, Gordon. Dunque i tutori dell’ordine non escono affatto immacolati dalla pellicola di Nolan come vorrebbero farci credere certi liberal statunitensi, che lo hanno subito accusato di essere anti-Occupy o in ogni caso fautore di un messaggio profondamente di destra. Certo, sono loro, le autorità, a essere dipinte come l’unica salvezza di Gotham: i cittadini non sono mai protagonisti. Ma questo Batman non è un «eroe reazionario». Non più di quanto lo sia un tutore dell’ordine che sventa un piano terroristico che, se portato a termine, comporta lo sterminio di 12 milioni di persone. Batman non combatte contro una rivoluzione popolare: combatte contro un gruppo di criminali liberati con la minaccia e l’inganno tipici di un regime dittatoriale. Da una parte, i tribunali popolari – e qui sì, c’è qualche eco di condanna del giacobinismo, specie quando Bane chiede alla folla: «Volete le dimissioni di quest’uomo?», Gordon – per punire l’1%; dall’altra, il ricatto nucleare, la minaccia in stile Panopticon di una sorveglianza basata sul terrore invisibile, di una bomba che i cittadini non hanno mai visto e di cui, in ogni caso, non sanno né dove si trovi né chi ne possieda l’innesco. E che esploderà comunque, indipendentemente da qualunque liberazione più o meno anarcoide. In quel clima di paura, di isolamento dal resto del mondo, di rovesciamento dei principi fondamentali dell’ordine costituito – Bane viene equiparato nella pellicola al «male assoluto» – c’è più l’onda lunga dell’11 settembre che Zuccotti Park; più la paranoia terroristica che il timore che il popolo, nella sua rivolta al potere, finisca per distruggere l’armonia sociale; più l’idea che quella paranoia porti a misure eccezionali, e dunque a menzogne eccezionali, che la giustificazione di quelle misure per reprimere una ribellione di popolo. Vero: durante lo scontro finale, sono i poliziotti a caricare come fossero manifestanti, e quel rovesciamento ha certo una forte carica simbolica. Ancora, Miranda, premendo l’innesco, dice: «sono una cittadina». E per gli abitanti di Gotham, condannati al macello: «innocenti è una parola forte». Ma Miranda stessa è artefice di un’altra menzogna, quella che la vede prima al fianco di Bruce e poi sua più letale nemica. E quando Batman sembra scomparso per sempre, al funerale Gordon legge: «Vedo uno splendido popolo sollevarsi da questo abisso». L’unico messaggio intimamente reazionario è che non sia stato in grado di farlo da sé. Ma, dopotutto, è di un film di supereroi che parliamo.
Se vogliamo dirla tutta a me Bane ha ricordato Grillo. Sopratutto quando hanno fatto i Giudizi Popolari. 😀
Comunque non so se vederlo come un film politico.
Sono d’accordo con Nolan quando ha dichiarato che il primo film verteva sulla “paura”, il secondo sul “Caos”, quest’ultimo invece sul “Dolore”.
Saluti
E se fosse solo un film? Le idee da qualche parte, per essere originali, le devono prendere, quindi perché non ispirarsi alla realtà? Ciò non significa voler dare a tutti i costi letture trasversali o tra le righe. È ciò che ho sempre contestato durante le ore di letteratura a scuola: l’autore ci ha detto come interpretare una sua poesia? No,, quindi perchè ci ostiniamo a volerlo fare?
Perché è divertente?
Ps: questo film si presta particolarmente, e credo sia interessante anche per questo.
ieri sera l’ho visto: proprio un bel film. Memore della lettura di questo pezzo ho cercato i significati nascosti ma tutti mi sono sembrati tirati un po’ per i capelli. Bane è un pazzo che impone la paura, altro che paragoni con il movimento Occupy.
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Chiusi non ti sarà sfuggito il ruolo palingenico di Catwoman chiaramente ispirato alla tradizione dei ladri anarchici alla Bonnot. Proprio così per esagerare.
Ottima analisi. Condivido ogni parola.